Paolo Baratta con David Chipperfield - courtesy la Biennale di Venezia - photo Giorgio Zucchiatti
“La Biennale in questi anni di sviluppo ha interpretato la sua presenza a Venezia in chiave di rivitalizzazione della città , contro la monocultura del turismo”. Così Paolo Baratta definisce in maniera lucida e consapevole il ruolo dell’istituzione della quale è stato Presidente per 16 anni, ricoprendo ben 4 mandati, che ha voluto ricordare con il testo Il Giardino e l’Arsenale. Una storia della Biennale (2021) edito da Marsilio
(pp.470, 20€). Grand commis di Stato, più volte ministro, per il mondo dell’arte Paolo Baratta è noto soprattutto per aver presieduto con acume, lucidità e rigore la più prestigiosa istituzione culturale italiana, che la nostra politica non ha mai valorizzato in maniera adeguata fino a tempi assai recenti, senza comprenderne il potenziale internazionale che potrebbe essere messo a frutto per rilanciare l’immagine e il ruolo di Venezia come laboratorio di cultura contemporanea, e non solo come meta del turismo mordi e fuggi.
Nell’era post Covid le riflessioni contenute nel volume appaiono di fatto preziose proprio in questa direzione, per scongiurare il degrado di una città unica al mondo che possiede, sostiene Baratta, “un complesso di attività culturali degno di una metropoli mondiale”. In primis la Biennale, della quale ripercorre la storia nella prima parte del volume, per poi focalizzare l’attenzione sulla riforma avviata da lui stesso nel 1998, alla quale è dedicato il secondo capitolo. Riforma che ha permesso di traghettare l’istituzione nel Ventunesimo secolo, ampliandone la forza e il prestigio, nella quasi totale indifferenza della politica, che l’autore denuncia senza mezzi termini nella parte quarta del libro: risorse scarse, tentativi di pressioni su nomine di direttori artistici, disinteresse generale di molti governi e dei loro presidenti del consiglio, dei quali alcuni che non avevano mai messo piede in Biennale.
Il cuore del volume è la terza parte, intitolata Un’impresa della conoscenza e della consapevolezza, dove l’autore entra nel vivo della gestione culturale: la conquista dei nuovi spazi dell’Arsenale, i rapporti con i diversi curatori (in primis Harald Szeemann), la strutturazione della Biennale di Architettura e della Biennale Cinema, la creazione del nuovo Asac e la formazione permanente svolta dalla Biennale in diversi settori come la Danza, la Musica e il Teatro. Una storia appassionante anche nelle parti più strettamente gestionali, raccontata attraverso una scrittura piana e diretta, chiara e comprensibile, alla quale sembra mancare la parte più personale, legata alle motivazioni culturali che hanno portato Baratta a scegliere i curatori dei diversi settori, mantenendo però sempre alta la barra della qualità e del rigore professionale. Dal testo si evince la passione per l’istituzione e la consapevolezza di salvaguardarne il prestigio, forse più internazionale che italiano, a qualunque costo. Whatever it takes, avrebbe detto Draghi. E di questo dobbiamo essere grati ad un uomo che ha difeso a spada tratta l’unico laboratorio culturale internazionale del nostro paese, che l’attuale presidente Roberto Cicutto saprà di certo salvaguardare con altrettanta tenacia.
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