Il fenomeno della Land Art nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta: si rifiuta il museo come luogo dell’opera d’arte e attraverso un atteggiamento anti-formale si arrivano ad annullare i confini fra opera e ambiente, fra gesto artistico e trasformazione paesaggistica. Il paesaggio diventa sfondo e allo stesso tempo cornice di un’operazione che è contemporaneamente estetica, politica e filosofica. Anche in Italia, nel corso del tempo, gli artisti hanno fatto del paesaggio il supporto delle proprie pratiche, con opere che sono rimaste nel tempo al servizio della fruizione collettiva. Vi invitiamo a scoprire cinque luoghi che al Sud Italia hanno reso la Land Art uno strumento di memoria e trasformazione al contempo, un approccio che ha fatto di questa forma d’arte uno strumento di racconto, di resistenza culturale, di dialogo fra un paesaggio sfondo e protagonista, un’arte che rigenera.
Nel 1968, un forte terremoto colpisce la Valle del Belice e distrugge la città di Gibellina, nell’entroterra trapanese. Alberto Burri decide però di trasformare questa tragedia in un’opera monumentale che potesse valicare i confini fra arte, architettura e memoria, e realizza un Cretto che viene ultimato nel 1985. La superficie dell’opera richiama immediatamente le fessurazioni delle terre argillose nei momenti di massima siccità, riprendendo uno degli elementi ricorrenti nel vocabolario estetico di Burri ma fungendo anche da sudario per la vecchia Gibellina: il Grande Cretto, infatti, ripercorre le strade del paese, avvolgendolo e cristallizzandone per sempre le forme nel cemento.
«Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento.» (Alberto Burri, 1995)
Il Grande Cretto Gibellina si estende su una superficie di 86.000 metri quadrati, rappresentando una delle opere d’arte contemporanea più estese al mondo. Un’architettura del dolore che racconta di un momento di tragica frattura per una comunità, ma anche della sua memoria.
Nei pressi di Gibellina Nuova, invece, sorge il Baglio Di Stefano; qui, la Montagna di Sale di Mimmo Paladino accoglie i visitatori introducendoli al vicino museo di arte contemporanea. Un cumulo di cemento, vetroresina e pietrisco in cui sono inseriti trenta cavalli in legno, che costituiva nel 1990 la scenografia de La sposa di Messina di Friedrich Schiller, diretta da Elio De Capitani e messa in scena a Gibellina in occasione delle Orestiadi. La Montagna di Sale rappresenta sicuramente – insieme al Grande Cretto – un prezioso stimolo per visitare Gibellina, eletta Capitale italiana dell’Arte Contemporanea 2026.
Nel 1982, il mecenate e filantropo Antonio Presti commissiona allo scultore Pietro Consagra un’opera in memoria del padre: La materia poteva non esserci, una scultura in cemento armato di 18 metri, posta sulla foce del torrente Tusa. Nasce così l’idea di Fiumara d’arte, un parco scultoreo – oggi uno dei parchi di scultura più importanti d’Europa – che abbraccia con dodici siti distinti un’area di oltre venti chilometri di lunghezza. Le opere si trovano nei comuni di Castel di Lucio, Mistretta, Motta d’Affermo, Pettineo, Reitano, Tusa e nella città metropolitana di Messina, in Sicilia.
Alla prima opera di Consagra, seguono Una curva gettata alle spalle del tempo di Paolo Schiavocampo nel 1988, e nel 1989 Monumento per un poeta morto (comunemente nota come Finestra sul mare) di Tano Festa, sul lungomare di Villa Margi. Fra il 1989 e il 1990 vengono collocate altre quattro opere: Stanza di barca d’oro di Hidetoshi Nagasawa, Energia mediterranea di Antonio Di Palma, il Labirinto di Arianna di Italo Lanfredini e Arethusa di Piero Dorazio e Graziano Marini.
Qualche anno dopo, nel 1991, Presti realizza a Castel di Tusa l’hotel Atelier sul mare (oggi a Villa Margi), le cui stanze sono decorate singolarmente da uno o più artisti contemporanei, una struttura recentemente chiusa per essere ricollocata in una nuova sede poco distante. Nel 2010, dopo due anni e mezzo di lavori, viene inaugurata 38º parallelo – Piramide dello scultore Mauro Staccioli.
Inaugurata nel 2020, Opera è un’installazione realizzata da Edoardo Tresoldi sul lungomare di Reggio Calabria. La struttura, realizzata nel punto che per l’artista è il più intimo del lungomare, consta di 46 colonne di rete metallica che si stagliano su di una superficie di 2500 metri quadrati. L’asimmetria del parco, in fortissimo dialogo con la simmetria del colonnato, evidenza ancora di più lo scopo dell’opera: «un’architettura aperta che accompagna i momenti di contemplazione delle persone all’interno dello spazio» (Edoardo Tresoldi, 2020).
Le colonne richiamano inevitabilmente la tradizione classica, che con Reggio Calabria ha un rapporto diretto e privilegiato; allo stesso tempo, attraverso la propria trasparenza, permettono di guidare lo sguardo allo Stretto di Messina, seguendo il corso delle varie colonne e trapassando la rete delle colonne stesse. Ogni spostamento nello spazio da parte dell’osservatore determina una nuova configurazione visiva: lo spazio viene scandito, scomposto e moltiplicato.
Nel versante lucano del Parco Nazionale del Pollino, l’associazione ArtePollino ha realizzato in collaborazione con Arte Continua un progetto che ha visto la partecipazione di importanti protagonisti dell’arte contemporanea. ARTEPOLLINO – un altro sud ha coinvolto nel 2009, per la sua prima edizione, tre artisti a cui è stato chiesto di pensare a tre opere permanenti site-specific, di grandi dimensioni, all’interno del parco: Anish Kapoor, che ha realizzato Cinema di Terra, un “taglio” nel terreno di 45 metri di lunghezza per 7 di profondità; Carsten Höller, che ha invece realizzato RB Ride, una monumentale giostra con 12 braccia per 24 persone, che dalla cima di una collina si muove ad un ritmo lentissimo, quasi esasperante, mettendo in relazione paesaggio e spettatori con ritmi e prospettive differenti; e Giuseppe Penone, che ha dato vita a Teatro vegetale: «un luogo che si inserisce nel paesaggio della regione, creato con elementi vegetali che ne regolano gli spazi e ne delimitano le parti», come ha affermato lo stesso artista.
Ognuna di queste opere diviene una vera e propria superficie di scrittura, un campo di indagine per il visitatore. Viene pertanto attuato un processo di risignificazione che rende la conversazione tra l’opera il suo contesto un elemento capace di cambiare il significato di entrambi questi singoli elementi, inscindibili fra loro nella creazione di una nuova entità che li pone in relazione perpetua.
Il Museo-Laboratorio di Scultura all’Aperto (MuSaBa), fondato verso la fine degli anni Sessanta dai due artisti Nik Spatari e Hiske Maas a Mammola, in Calabria, si estende su un’area di sette ettari e rappresenta un vero e proprio cantiere creativo. Oggi, il MuSaBa accoglie opere di artisti internazionali ma anche di studenti, bohemien e volontari che continuano ad arricchirlo con i loro contributi.
Il Museo-Laboratorio si sviluppa attorno ai resti di un antico complesso monastico del X secolo, e proprio partendo da questa interazione fra antico e moderno, fra natura e architettura, Nik Spatari ha dato origine al cuore propulsivo del MuSaBa.
L’ex chiesa di Santa Barbara ospita il Sogno di Giacobbe, definita “la Cappella Sistina calabrese”. Si tratta di un gigantesco dipinto tridimensionale lungo 14 metri, realizzato tra il 1990 e il 1994. Il Concetto Universale, realizzato nel 1983 con la tecnica del calcestruzzo dipinto, con i suoi raggi colorati rappresenta uno dei simboli del Museo. La Foresteria, realizzata tra il 2004 e il 2008, è un labirinto colorato pieno di stanze, un complesso composto da undici “celle d’artista” e da una zona ristoro; al centro, si staglia L’ombra della sera, una scultura di 15 metri circondata dalle tonalità più sgargianti. In cima alla collina del parco si erge invece La Rosa dei Venti, i cui lavori sono stati avviati da Spatari nel 2008 e che ospita lo spazio museale con le opere di Spatari.
I mosaici del MuSaBa superano la loro funzione decorativa e si rivestono di una profondità spaziale e spirituale che sceglie ogni elemento, dalla geometria ai colori, per modificare la percezione dello spazio da parte dell’osservatore e stimolarne la riflessione. Dopo la scomparsa di Nik Spatari, nel 2020, il MuSaBa è portato avanti dalla sua compagna Hiske Maas.
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Tutti luoghi molto interessanti... La prossima volta salendo un po' su e addentrandovi nel Molise vi potreste imbattere nel Maack... A risentirci grazie per l'attenzione.!!