Luigi Ontani, Tulipano nell'ano, 1980, cm 105x180
Nell’arte contemporanea delle ultime generazioni è innegabile una rinnovata attenzione verso il surrealismo, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, che all’interno della temperie postmoderna aveva rintracciato nel movimento teorizzato da Breton diversi spunti e fonti di ispirazione, più o meno dichiarati. L’interessante mostra collettiva “Corpi Fioriti”, aperta alla galleria L’Attico fino al 3 marzo, crea un interessante dialogo tra le opere dei tre artisti Victor Brauner, Luigi Ontani e Stefano Di Stasio, unite dal rapporto tra il corpo umano e la flora, dal frutto al fiore. Corpi che si contaminano con elementi vegetali, in una relazione fisica, simbolica o fantastica.
Tutto parte da un dipinto del pittore surrealista rumeno Victor Brauner, La Criarde, realizzato nel 1943, che Fabio Sargentini vendette mezzo secolo fa ad un collezionista privato. È una tela densa di suggestioni, dove si scorgono le tracce di un interesse di Brauner verso Picasso e Max Ernst in primis, oltre che nei confronti di alcuni acquarelli di Paul Klee, che poteva aver visto in Svizzera, dove si era rifugiato durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’immagine doppia e bifronte che Lorenzo Canova interpreta come rebis, termine usato dagli alchimisti per indicare l’unione degli opposti: “erma bifronte in bilico tra Io e Ombra” suggerisce Canova. E Sargentini aggiunge, nel piccolo catalogo che accompagna la mostra: “Mi stuzzicava la relazione tra quel fiore che germoglia dalla bocca, corolla che si fa pupilla, e il lavoro fotografico di Luigi Ontani, facente parte della mia collezione, dove un tulipano fuoriesce dall’ano dell’artista”.
All’irriverente Tulipano nell’ano, un’opera fotografica datata 1980, il gallerista ha voluto accostare due immagini storiche di Ontani, dove il soggetto classico, molto in voga nel rinascimentale – ma riletto qui in chiave caravaggesca – fa capo al Bacchino (1970). Allestite in una sala della galleria di grande impatto, dove vediamo l’artista nudo e adagiato su un talamo color porpora, che ha piedi e volto nascosti da grappoli d’uva, quasi a ricordare le fotografie di Wilhelm Von Gloeden. Un’atmosfera decadente e fin de siècle dal quale si distaccano le due tele di Stefano Di Stasio: la prima, I destinati (1994), raffigura una coppia che balla al chiarore di un crepuscolo su un terrazzo della periferia romana, con braccia e gambe legate da corone di fiori, mentre la seconda, Rose a nudo (2021), è stato realizzata in occasione della mostra, quasi a suggerire una riflessione sul trascorrere del tempo, “in bilico tra il velo oscuro della melanconia e la speranza di una nuova fioritura” (Lorenzo Canova), in perfetta sintonia col tempo che stiano attraversando.
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