Simbolo della Pasqua e della resurrezione, l’uovo ha attraversato epoche e culture

di - 20 Aprile 2025

«La più bella scultura astratta», così Fausto Melotti appellò l’uovo, che agli albori della storia dell’arte era utilizzato come materia prima da chi lo mischiava con la tempera per creare pigmenti assai resistenti, come Botticelli, per citarne uno. L’aforisma di Melotti – «La gallina si rigira, e grida la sua gioia d’aver creato la più bella scultura astratta» – ci suggerisce però di guardare alla forma dell’uovo, più che alla sostanza: è infatti da un punto di vista formale e figurativo (come nel caso del Vaso del 1950 dello stesso Melotti) che l’oggetto si è esteso, attraverso epoche e culture, in grandi capolavori.

Fausto Melotti, Vaso, 1950 circa. Courtesy Fondazione Fausto Melotti
Piero della Francesca, Pala di Montefeltro, 1472. Conservata nella Pinacoteca di Brera, Milano
Tiziano, La presentazione della Vergine al Tempio con i confratelli della Scuola Grande della Carità. Courtesy Gallerie dell’Accademia, Venezia
Hieronymus Bosch, Concerto dentro un uovo, 1561. Courtesy Palais des Beaux-Arts de Lille

Dalla Pala di Montefeltro di Piero della Francesca, dove è rappresentazione della purezza e perfezione del concepimento di Cristo e simbolo della sua futura Resurrezione, alla Presentazione della Vergine al Tempio di Tiziano, in cui un’anziana con un cesto di uova appare nei pressi della giovane Maria come presagio di una nascita che cambierà il mondo, fino al Concerto dentro un uovo di Hieronymus Bosch del 1561, non ci sono dubbi su come l’uovo – protagonista oggi sulle nostre tavole per celebrare la Pasqua – sia stato e sia un grande protagonista della storia dell’arte.

Felice Casorati, per esempio, ne dipinse tantissime: Scherzo uova, del 1914, è solo il primo di una lunga serie. Nel 1920 fu la volta di Uova sul cassettone, nel 1947 invece in Natura morta con l’elmo, accanto a due bianche e tondeggianti teste di manichino e un elmo, aggiunge due uova; nel 1950 con Uova e limoni o Limoni sul paesaggio fanno la loro comparsa dieci bianchissime uova e quattro limoni. E poi ci sono le Uova su fondo rosso, di qualche anno più tardi (1953) e, ancora, nel 1960 Uova nel paesaggio: 15 uova brillano in una notte azzurra e blu, illuminata da una grande luna. E se fosse anche lei, un uovo?

Felice Casorati, Scherzo uova, 1914 circa. Courtesy Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte. Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo Arte Contemporanea Rivoli, Torino
Felice Casorati, Natura morta con l’elmo, 1947. Courtesy GAM, Torino
Felice Casorati, Uova nel paesaggio, 1960. Collezione privata
Constantin Brancusi, The Beginning of the World, 1924. Courtesy Kröller-Müller Museum, Olanda

Casorati, che tante volte ricorse all’uovo, non fu certo il solo. Oltre a Paul Cezanne e Giorgio De Chirico, per esempio, Costantin Brâncusi per esempio, rispettivamente nel 1915 e nel 1916, diede forma a Beginning of the world e Neonato richiamando le linee pure ed essenziali dell’uovo; René Magritte invece, nel 1933, realizzò Affinità elettive raffigurando una gabbia di uccelli appoggiata su un davanzale con all’interno un uovo, e non un uccello. Fu Magritte stesso a condividere l’aneddoto della genesi dell’opera, che ricorda Marcel Paquet: una notte svegliandosi, ebbe la singolare allucinazione di vedere trasformarsi l’uccellino in uovo. Qualche anno più tardi, nel 1936, anche in Chiaroveggenza, l’artista dipinge un uovo sulla tela. Restando nell’affascinante mondo surrealista, fu Salvador Dalì a utilizzare spesso l’immagine dell’uovo nelle sue opere – e non solo, perché di uova adornò i tetti del suo studio a Port LLigat, in Spagna – caricandolo di significati legati alla vita intrauterina, alla fragilità, all’amore e alla speranza. Dopo la Metamorfosi di Narciso e prima della Venus Spatiale, nel 1943, durante un soggiorno negli Stati Uniti, dipinse Bambino geopolitico osservante la nascita dell’uomo nuovo – successivamente utilizzato come copertina dell’album musicale Newborn (1975) di James Gang – opera oggi conservata al Museo Salvador Dalì, in Florida, in cui l’uovo, rappresentativo del nuovo mondo globale, si apre per far spazio a una nuova umanità.

René Magritte, Affinità elettive, 1933. Collezione privata
Salvador Dalì, Metamorfosi di Narciso, 1937. Courtesy Tate Modern, Londra
Salvador Dalì, Bambino geopolitico osservante la nascita di un uomo nuovo, 1943. Courtesy Museo Salvador Dalì, Florida

Pochi giorni fa, in occasione del taglio del nastro dei Padiglioni Italia e della Santa Sede a Expo 2025 Osaka – quest’anno, per la prima volta nella storia, il padiglione della Santa Sede è ospitato in quello italiano – Monsignor Rino Fisichella ha parlato, al cospetto della Deposizione di Caravaggio, proprio di umanità, e di spiritualità, per ripensare alla città del futuro. «Papa Francesco ha voluto e desiderato e deciso che l’unica opera di Caravaggio giungesse qui a Osaka per essere ammirata e contemplata. Papa Francesco ha voluto che questo padiglione creasse un evento di dialogo e di confronto. Quando abbiamo saputo che il motto era “l’arte genera vita”, a noi è venuto spontaneo dire che “la bellezza porta speranza”. Ecco, questo è il titolo del nostro padiglione, perché la bellezza è fonte di contemplazione, non conosce tempi, è un linguaggio universale e suscita amore. L’amore nasce dalla contemplazione della bellezza». La Deposizione, come ha ricordato anche Monsignor Fisichella, potrebbe sembrare la negazione della speranza, invece è un invito alla contemplazione: «uno dei personaggi ha braccia spalancate gli occhi aperti per indicare lo stupore di quello a cui si assiste: la deposizione è un momento fondamentale. L’amore che desidera generare in chi saprà con templare con occhi semplici e il cuore aperto è lo sguardo verso la vita, una vita che non termina, una vita che ha un futuro che dura per sempre».

Caravaggio, La Deposizione, 1602-1604. Courtesy Musei Vaticani, Roma

Che Caravaggio, sebbene non abbia mai direttamente raffigurato nelle sue tele delle uova, sia a Osaka è senza dubbio sintomo di un’esigenza, quella della cultura, condivisibile con chiunque ci accompagni, anche di fronte e al cospetto di oggetti – o cibi – comuni e familiari. Come le uova? Si, ed ecco allora che riprendiamo il nostro itinerario rintracciando nomi come quelli di Man Ray, Piero Manzoni, che in occasione di Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte (1960) fece bollire numerose uova che poi offrì al pubblico, da mangiare, dopo averle contrassegnate, sul guscio, con l’impronta digitale del proprio pollice; Lucio Fontana, che realizzò la serie La Fine di Dio (1963-64) su grandi telati a forma di uovo; Jean-Michel Basquiat e Andy Warhol, che nel 1982 realizzò Eggs, una serie di dipinti e polaroid dedicati proprio alle uova in chiave pop.

Lucio Fontana con quattro opere della serie “La fine di Dio”. Courtesy Cardi Gallery, ph. Orazio Bacci
Andy Warhol, Eggs, 1982. Courtesy The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts e Museum Brandhorst, Munich
Jeff Koons, Cracked Egg Blue, 1994 – 2006. Courtesy Gagosian
Urs Fisher per Yeah Yeah Yeahs, 2009

Non manca all’appello Jeff Koons: sua è la serie Cracked Egg, datata 1994-2006 e appartenente alla serie Celebration, concepita per celebrare momenti importanti nel corso dell’anno solare, attraverso immagini universali di gioia, infanzia e meraviglia: «Ero interessato al dialogo con la natura e gli aspetti dell’eterno, qui ed ora, il fisico e l’effimero, la simmetria e l’asimmetria, un senso del fertile». Anche Urs Fisher ha utilizzato l’immagine di una mano che schiaccia un uovo per la copertina di un album degli Yeah Yeah Yeahs, giocando sulla fragilità del soggetto. Non li abbiamo citati tutti, l’uovo ha davvero attraversato epoche e culture, apparendo figurativamente – Fabergé ha creato la celeberrima serie Uova Fabergé – o ispirando nella forma – Agnes Martin, per esempio, ha sperimentato forme ovali simili a uova, mentre Adelaide Cioni ha intitolato una sua mostra Ab ovo/ On Patterns dove “ab ovo” si traduce in “dall’uovo”, ed era un tentativo di approcciarsi al primato della forma – ma anche fungendo da metafora, come nel caso delle egg-stone di Thomas De Falco. Chiudiamo il nostro viaggio con Sarah Lucas, che spesso ha utilizzato uova nel suo lavoro, a volte in modo letterale, altre come simbolo di fertilità e femminilità: suo è Self Portrait with Fried Eggs (1996) e sua è la performance 1000 Eggs: For Women, con cui ha coinvolto 1000 persone, donne o chiunque si riconoscesse nel genere femminile, a lanciare una alla volta un uovo sulla parete di una galleria di Londra fino a creare un’opera astratta e temporanea.

Adesso tocca noi rompere l’uovo, di cioccolato. Buona Pasqua!

Thomas De Falco, WO_MAN, 2024. Performance, Museo Arte Contemporanea Cavalese
Sarah Lucas, 1000 Eggs For Women. T.J. Boulting gallery, London. Ph. Jo Lawson-Tancred

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Tag: Andy Warhol arte contemporanea Bruno Munari Constantin Brancusi Jeff Koons Lucio Fontana Pasqua Piero della Francesca salvador dalì sarah lucas

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