Pochi giorni allo spettacolo milanese per eccellenza: la prima del Teatro alla Scala. Ma le polemiche e le manifestazioni che solitamente riempiono Piazza della Scala, non hanno aspettato Sant’Ambrogio, animando i social (e non solo) da diverse settimane. La Regione Lombardia ha ridotto i finanziamenti per il 2023 a tutto il comparto teatrale, compresa la Scala, che si è vista un -45% passando da 3.308.000 euro a 1.838.600 euro e -8% alla sua Accademia d’arti e mestieri dello spettacolo, da 100.000 euro a 92.000 (rimanendo a Milano, – 55% di fondi anche al Piccolo Teatro da 1.891.000 euro a 850.950). Ma i sindacati non ci stanno ed è stato annunciato uno sciopero a dicembre, inizialmente previsto per la prima, ma poi sospeso. Si parla di una lettura di un comunicato prima dello spettacolo, ma nulla di certo.
Nelle settimane precedenti, ad accendere i riflettori sul Teatro alla Scala sulla prima del 7 dicembre era stata la questione russa. A inaugurare la stagione 2022/2023 del Piermarini è infatti il “Boris Godunov”, opera del compositore russo di fine Ottocento Modest Musorgskij – basata sul dramma di Aleksandr Sergeevič Puškin – e messa in scena dal regista teatrale danese Kasper Holten, già direttore della Royal Opera House di Londra, e diretta dal Maestro Riccardo Chailly.
La trama è ispirata all’Amleto di Shakespeare: dopo la morte in circostante sospette dell’erede al trono, il figlio di Ivan il Terribile, Boris Godunov diventa Zar di tutte le Russie cercando di migliorare la condizione del suo impero dopo anni di terrore. Ma il paese precipita in un periodo di caos e forte instabilità. Nel frattempo il monaco Grigorij si fa scambiare per lo zar e rivendica il trono, sposa la nobildonna polacca Marina Mniszech, con la quale concerta l’invasione della Russia. A questo punto lo zar, in preda alla follia e alle allucinazioni, decide di lasciare il posto al figlio Fëdor.
La polemica non si è accesa sulla trama: la scelta di quest’opera sarebbe “Un omaggio alla Russia” e dunque “La Scala vicina a Putin”, come si leggeva sui titoli di alcuni magazine nelle ultime settimane. Ma la questione è più complessa. C’è il tema del repertorio, come racconta Chailly: «Il “Boris Godunov” di Modest Musorgskij ebbe nel nostro Teatro la sua prima rappresentazione italiana nel 1909 con la direzione di Edoardo Vitale, e rimase nelle stagioni successive come presenza costante, grazie ad Arturo Toscanini che lo diresse per quattro Stagioni tra il 1922 e il 1927. Nel 1979 Boris Godunov fu la seconda opera non italiana a inaugurare la Stagione il 7 dicembre: una scelta di apertura voluta da Claudio Abbado che ne diede un’interpretazione memorabile».
C’è la questione organizzativa: l’opera che inaugura la stagione artistica del Teatro alla Scala non è scelta a ridosso dell’evento, ma diversi anni prima con investimenti comunicativi, tecnici e progettuali di diverse centinaia di migliaia di euro. Non quindi facilmente riprogrammabile. Proprio in questi giorni è stato annunciato che sarà il “Don Carlo” di Verdi a inaugurare la stagione 2023/2024.
Ma soprattutto c’è la questione artistica. Dobbiamo smettere di leggere Dostoevskij, Tolstòj, o Gogol? Non vediamo più il cinema di Menshov o Sokurov? Indubbiamente ogni arte è incastonata nel suo sistema sociale e culturale, comprensibile se si conoscono i contesti storici e le cronache. Ma nel momento in cui un’opera è pubblica, non assume forse una valenza universale che la rende libera da quelli che sono gli assoggettamenti che una determinata epoca può imporre? Senza dimenticare che in Russia proprio gli artisti sono stati i critici più lucidi del potere, perseguitati dagli zar, dal regime sovietico e ora dai nuovi “zar”.
Prima ancora di ammirare la regia di Holten (magari su uno dei tanti maxishermi disseminati per la città in occasione della “prima diffusa”) basta leggere la trama del “Boris Godunov” per capire che il tema dell’opera è la libertà, rappresentata attraverso la liberazione di un popolo dalla tirannia di un sovrano folle e terribile, una critica alla guerra e alla follia del potere: un messaggio di questo tipo acquista ancora più rilevanza se lanciato da uno dei teatri più importanti del mondo, usando le parole di uno dei capolavori della cultura russa:
“Qui io vidi lo zar,
davanti a noi stava Ivan il Terribile
pensoso e calmo
e le parole uscivano dolci dalle sue labbra
mentre nei suoi occhi severi
sgorgavano lacrime di pentimento…
Ed egli piangeva…”
(Boris Godunov – atto primo)
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