Lo spettatore sceglie dunque di
instaurare un rapporto diretto e privilegiato con l’opera in un modo esclusivo
e intimo. Efficace la scelta di allestire una sola opera per stanza, ognuna nel
suo spazio isolato, così come interessante è l’invito a interagire. Le
installazioni diventano così vero e proprio evento, mostrando il loro “sacro”
terreno, che ha poco o nulla di religioso.
Aiutandosi anche con i saggi in
catalogo, in particolare con quello del filosofo Vito Mancuso, Pierini cerca di
dare una spiegazione su cosa s’intenda al giorno d’oggi per sacro, rimanendo su
un’impronta laicista. Le opere in mostra, difatti, toccano solo velatamente la
fede, affidandosi a un significato metaforico. È la ragione che in questo caso
pone il soggetto di fronte al mistero, poiché è la religione a essere al
servizio della vita e non viceversa.
Dopo la sfera di 1.300 sagome di
mani a grandezza naturale, in acciaio corten, di Joseph Ginestar nel
chiostro, l’attenzione è tutta per l’installazione spettacolare di Jaume
Plensa, Jerusalem, 18
gong in bronzo di grandissimo formato che riempiono l’intera stanza, il cui
suono dipende dalla volontà d’azione dello spettatore. Versetti del Cantico dei Cantici risuonano con
musicalità diversa a seconda di come e se viene “agito” lo strumento.
Paolo Cavinato, nel site specific Reflections, mostra
invece la spiritualità di due mondi identici uniti dall’artifizio di falsi
specchi. Il discorso di Giovanni Anselmo è più cerebrale: otto blocchi
di diorite della grandezza di una spanna e una striscia di blu oltremare a
indicare l’orizzonte di un sacro misurato sull’energia e la forza attrattiva.
Mentre per Wael Shawky e
Kader Attia il santuario di Gerusalemme, la Cupola della Roccia,
viene de-sacralizzato diventando luna park oppure un semplice bullone, quindi
pura forma geometrica focalizzata da una telecamera fissa.
All’interno della Palazzina dei
Giardini appena riaperta, per Richard
Long con Arizona circle,
opera del 1987 che corrisponde a un viaggio, un’esperienza mistica e
intima del luogo, l’esperienza del sacro avviene all’interno di un contesto
architettonico costituito dalle pietre in circolo e Adel Abmessemed compone
grafismi in bianco e nero coi segni di tutte le religioni del mondo,
rappresentandoli nella sequenza video d’animazione, mentre si compongono e si
scompongono trasformandosi in elementi ornamentali.
Di grande forza è Anish
Kapoor, che trasporta in un luogo avvolgente
immerso nel buio, illuminato soltanto da un cerchio rosso che buca la parete,
invitando a toccare come San Tommaso per verificarne la verità. Passando
accanto a Chen Zhen che innalza una sorta di cupola composta da sedie in
parte usurate, che mostrano l’incedere del tempo e incitano all’ospitalità, e a
Vittorio Corsini che disegna cinque piante di diverse tipologie di
edifici religiosi semplificandoli nel ridurli a solo perimetro, si arriva alla
conclusione del percorso.
Attraverso la relazione
uomo-divinità si porta così a compimento la congiunzione fra la terra e il
cielo.
La
videorecensione della mostra
francesca baboni
mostra visitata il 16 dicembre
2010
dal 4 dicembre 2010 al 6 marzo 2011
Lo spazio del sacro
a cura di Marco Pierini
Galleria Civica d’Arte Moderna –
Palazzo Santa Margherita e Palazzina dei Giardini
Corso Canalgrande (centro storico) – 41100 Modena
Orario: da martedì a venerdì ore 10.30-13 e 15-18; sabato, domenica e festivi
ore 10.30-19
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0592032911; fax +39 0592032919; galcivmo@comune.modena.it; www.comune.modena.it/galleria
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recensione didascalica
ovvietà contemporanee....
mostra eccellente e ben curata