Un sunset di
Andy Warhol, uno studio di colori di
Anish Kapoor e uno spot painting di
Damien Hirst fino a un arcobaleno di
Frank Stella quotato 1 milione e 200mila euro tra le variopinte borsette delle collezioniste americane e non.Questi i colori di ArtBasel Miami, che si tiene ogni anno al convention center di Miami Beach, a un isolato dalla spiaggia e dai bar del Raligh , del Delano e dello Shore Club, che fino a tarda notte diventano luoghi di frivolezze e chiacchiere dei personaggi dell’art system.
Slow è l’imperativo. Slow come le sfumature dell’arcobaleno che per le leggi della meteorologia compare e poi scompare. Sarà forse questa la sorte del mercato dell’arte? In un Paese in cui la forma mediatica di un’immagine come quella di Barack Obama riesce a essere cosi ben utilizzata, fino a diventare icona e contenere i sogni degli americani, dei cubani rifugiati a Miami e degli artisti più noti del sistema dell’arte, che non si sono potuti esimere dal ritrarlo con varie tecniche. Chissà se
Chuck Close, interprete del cosiddetto fotorealismo, attento osservatore delle ricerche più attuali proposte alle fiere satellite Nada, Pulse e Scope, deciderà di frammentare l’immagine del Presidente entrante, dopo aver già ritratto Bill Clinton.
Miami incontra la Russia al Bass Museum, finanziato in parte dalla municipalità di Miami ma che vive – come la maggior parte dei musei americani – grazie alle donazioni di privati. La collettiva
Russian Dreams, in collaborazione con il Multimedia Art Museum di Mosca, è il contenitore delle tendenze dell’arte contemporanea russa, dove un carillon a manovella di
Alexander Brodsky permette di far cadere la neve sui grattacieli di Mosca, dove
Andrei Molodkin ironizza sul concetto di
democracy e i suoi legami con l’oro nero. La soundtrack della mostra è costituita da spari, pistoni di generatori e musica folk russa, ad accompagnare l’installazione di
Vladimir Tarasov. Al vernissage, accompagnata dal suo partner russo, si aggira Naomi Campbell, statuaria icona nera dei più grandi fotografi della scena mondiale, a cui è dedicata una retrospettiva ad ArtPhotoExpo.
La mattina s’inizia con le colazioni – riservate ai VIP – presso le sedi delle grandi collezioni private di Miami. Lontana dalle spiagge bianche della Florida, il Miami Art District a North Miami è una zona desolata, forse la vera America, quella che ci ricorda le stazioni di benzina di
Ed Ruscha. È lì che capannoni o vecchi garage ospitano le collezioni private di Margulies, dei Rubell, di Ella Fontanals Cisneros e altri. La loro ricchezza proviene dal real estate, dal costruire, dai materiali primari all’edilizia. Forse è questo il leit motiv della straordinaria collezione di Martin Z. Margulies, che vanta ben due lavori di
Calzolari, oltre a museali
Donald Judd,
Sol LeWitt ed
Ernesto Neto (l’opera esposta alla Biennale di Venezia) e le epiche figure di
Magdalena Abakanowicz.
Torna la guerra e coi suoi drammi nella mostra temporanea al Cifo, la fondazione di Ella Fontanals Cisneros, che ha come scopo la promozione dell’arte latino-americana; ritornano i lavori presentati alla Biennale di Venezia di
Regina Josè Galindo – a cui
Prometeo Gallery dedica un solo show nel suo stand a Photo Miami – e di
Paolo Canevari.La Rubell Family Collection, che dal 1960 colleziona artisti afro-americani, presenta invece la collettiva
30 Americans (gli artisti effettivamente sono diventati trentuno), a sottolineare il concetto di identità al di là del Paese d’origine.
C’e quindi anche un po’ d’Italia, che stenta ancora a essere riconosciuta a livello internazionale. C’e
Francesco Vezzoli con il suo video
Democrazy al Wolfsonian e, nello stand del torinese
Franco Noero, in un doppio autoritratto; e c’è
Giuseppe Penone, con un lavoro quasi nascosto, da
Marian Goodman, quasi una metafora del sistema dell’arte.
Silenzioso si aggira tra gli stand e i container di Art Positions l’anima forse più neutrale dei vari conflitti dell’arte, così decidendone le sorti. È Samuel Keller, l’uomo che ha reso possibile tutto ciò.
Sarà di buon auspicio per le giovani gallerie italiane, forse più colpite dalla crisi economica, la recensione del “New York Times”. Che giudica miglior galleria la napoletana
T293.
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E la T293 sarebbe meglio della galleria Continua, della Zero, di Massimo De Carlo, di Marconi e Noero ???
Consigliamo vivamente al corripondente del New York Times, chiuque esso sia, una buona visita oculistica.
zero e t293 sono in questo momento le realtà più interessanti in Italia. Le più attuali, le più attente alla ricerca, le più sostenibili.