Mentre la moda sfila sulle passerelle parigine, e si mostra ai giardini delle Tuileries con una fiera di showroom dall’aspetto povero-artistico, la Fiac accusa il colpo della temibile concorrenza che le fa quest’anno la prima e già mitica FriezeArtFair di Londra. Dal 17 al 20 ottobre la rassegna londinese ospiterà le grandi gallerie anglosassoni pronte a scendere sotto il tendone di Regent’s Park per mostrare un’arte che parla al nostro tempo e toglie alla Fiac facoltosi collezionisti.
La Fiac è fiacca. Soffre di sovrabbondanza di gallerie francesi, il 49% (a Frieze quelle inglesi saranno meno del 30%!) e di un taglio che sembra piuttosto consonante alla settimana della moda. I pronipoti di Andy Warhol sembrano aver dimenticato il rigore di un Duchamp, optando per l’inserzione della realtà mediatica, del glamour strutturale e del sistema pubblicitario nelle fondamenta e negli scopi di un’arte che tenta il coup de theatre. La bellezza femminile ridotta a proporzioni da passerella, la fotografia intesa come messaggio conturbante, la pittura come gesto estremo e un poco vintage o
Tra le mostre personali colpisce quella di Erwin Olaf (alla Flatland di Utrecht) che narra le gesta quotidiane di una famigliola vestita completamente in abiti feticisti sadomaso: un video e sette grandi fotografie neodark, un poco Pulp Fiction e un poco pittura fiamminga. Interessante anche la personale di Thomas Ruff che fotografa in stile pittoricista le macchine utensili della Ruhr dei primi del XX secolo, motore nascosto di una Germania guerriera e tecnologizzata che molto ha pesato sul Novecento.
La scultura trova i suoi grandi interpreti come Cragg e Kapoor, ma il premio lo merita la mueckiana coppia di ritratti in resina e capelli di Evan Penny, da Artcore: No one-in particular è due volti iperrealisti ma appiattiti, come a voler
Nella sezione Video Cube è il cinese Jun Nguyen Hatsushiba a primeggiare con Memorial Project Vietnam II (2003), un video subaqueo che riprende la tradizionale danza del dragone.
Se occorresse eleggere l’opera più bella della Fiac, la serie Blind di Douglas Gordon (alla Nelson di Parigi) potrebbe fare al caso: è un lavoro che trasforma il volto di giovani stelle americane, come Spencer Tracy o Judy Garland, in maschere senza espressione e senz’anima. Con un semplice gesto di ritaglio l’artista ribalta i ritratti di stampo hollywoodiano in maschere cieche, magnetiche voragini verso la nullità che la celebrità nasconde. Contro la spettacolarità diffusa di un mondo in mondo-visione, al quale l’arte si dimostra nient’affatto immune.
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