Che impatto può avere l’arte, nella società contemporanea? È la domanda intorno alla quale ruota “ARTE ATTIVA / Quando l’arte attiva comunità e territori”, ciclo di tre incontri organizzato dalla Fondazione Imago Mundi, in occasione della Milano Art Week. Gli incontri si terranno nei confortevoli spazi di 21 Way of Living, partner dell’iniziativa. Dopo il talk del 15 settembre, con l’artista Marinella Senatore in dialogo con Roberta Tenconi, curatrice di Pirelli HangarBicocca, venerdì, 17 settembre sarà la volta di Francesco Jodice. L’artista nato a Napoli nel 1967 discuterà con Cristiana Perrella, direttrice del Centro Pecci di Prato, e con il giornalista Nicolas Ballario, sul tema della fotografia e sulla sua posizione nel contesto dell’arte degli ultimi anni. Chiuderanno la serie di incontri, il 19 settembre, Sveva D’Antonio Taurisano e Bruno Bolfo, collezionisti, in dialogo con Alberto Salvadori, direttore e fondatore di Fondazione ICA Milano, ed Elisa Carollo, curatrice per Fondazione Imago Mundi. Abbiamo raggiunto Jodice per qualche suggestione sull’argomento del suo talk.
Arte come attivatore sociale: che ruolo può giocare la fotografia in questo?
«La fotografia è cambiata. Non è più solo un’arte bidimensionale da inchiodare al muro. Innesca processi di partecipazione sia con le domande che pone sul Contemporaneo, sia grazie all’evoluzione dei suoi modi di installarsi. Nel 2019 ho completato una installazione stradale di 300 metri lineari a Rogoredo frutto di un laboratorio con comunità e associazioni di quartiere che hanno così adottato l’installazione».
Com’è cambiata la considerazione della fotografia negli ultimi anni?
«Moltissimo. Ed in modo bipolare. È cresciuta sia la considerazione della fotografia nel mondo dell’arte divenendo a tutti gli effetti uno dei tanti dispositivi a disposizione di un artista nella cesta dei linguaggi. E poi c’è tutta la nuova fotografia vernacolare, dal selfie ad Instagram, fino alle immagini NFT, e così all’infinito. Un linguaggio rinnovato e liberato che carica nelle Cloud circa 200 miliardi di immagini annualmente».
In un’epoca in cui le immagini non sono solo iconiche ma possono diventare anche virali e sfuggire a ogni controllo, in quali termini si può ancora parlare di autorialità?
«Non bisogna confondere. L’autorialità dipende dalla potenza visionaria dell’artista e da nient’altro. È vero invece che la dispersione delle immagini nel web, una volta divenute virali, rischia di sminuire o cancellare la paternità dell’opera. È vero quindi che un artista potrebbe perdere il controllo su di un immagine divenuta virale, ma quando questo accade è perché quella immagine è diventata simbolica di un fenomeno, di un evento, di un’epoca, cioè diviene un’immagine universale. Forse a quel punto non è poi così strano immaginare che chiunque la possa utilizzare come desidera».
Come fotografo, come vivi il crescente peso dei social media nel definire nuovi standard?
«Da artista e da fotografo lo giudico positivamente. Credo che l’arte, e il sistema che la circonda, abbia bisogno di rinnovarsi per uscire da un circolo lacustre che la asfissia da tempo e soprattutto credo che debba ristabilire una nuova dialettica e una capacità performativa all’interno delle comunità. E mi fa piacere che in un modo o nell’altro la fotografia stia contribuendo a questo rito di passaggio attraverso delle potenti scosse telluriche».
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