Uno degli scatti del reportage dedicato alla vita delle suore di Valeria Luongo (Courtesy: Valeria Luongo)
Cosa comporta davvero per una donna prendere i voti? Cosa fanno le suore nella loro quotidianità? Il bellissimo progetto di Valeria Luongo, A Sisterhood– Sorellanza, risponde con le sue foto proprio a questi interrogativi. Recentemente il Guardian ha pubblicato un lungo articolo che descrive i suoi scatti, che aprono una breccia oltre le mura di un convento romano. La comunità che Luongo ha seguito è quella delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria a Roma. Era quindi più che doveroso che un lavoro del genere trovasse il suo posto anche tra le pagine delle riviste nazionali. Perciò abbiamo posto a Valeria Luongo qualche domanda, e lei ci ha omaggiati di una personale selezione di fotografie del suo progetto, che potete ammirare nella gallery alla fine dell’articolo.
Prima di tutto, perché non ti presenti ai nostri lettori?
Mi chiamo Valeria Luongo, sono una fotografa, filmmaker e antropologa romana che vive a Londra.
Puoi raccontarci qualcosa della serie di foto? Mi è parso di capire che si è trattato di un progetto che ti ha coinvolto per tanto tempo, entrando molto in contatto con i soggetti dei tuoi scatti.
L’idea mi è venuta per caso. Ero in autobus e sono passata vicino a un Convento. Ricordo di essermi chiesta che attività svolgessero le suore al di là della preghiera e cosa spingesse oggi giorno una donna a scegliere quello stile di vita. All’epoca stavo frequentando un corso di reportage fotografico e dovevo scegliere il tema per un progetto che avrei sviluppato durante l’anno. Non mi sarei certo aspettata di tornare nello stesso convento per più di tre anni!
Negli anni del Neorealismo, un tema abusato nella fotografia era proprio quello di preti e suore, quasi fossero un elemento del folklore italiano. Oggi questa “moda” mi sembra decaduta. Da dove proviene la tua ispirazione per queste fotografie?
Ad essere sincera mi sono approcciata a questo progetto con una buona dose di ingenuità. Era la prima volta che iniziavo un progetto di fotografia documentaria e mi ci sono buttata senza sapere troppo cosa aspettarmi o dove volessi arrivare. È stato più in là che ho iniziato a capire che direzione volessi prendere o che tipo di foto stessi cercando. Senz’altro, fonte di ispirazione sono state le fotografie dei pretini che giocano sulla neve di Mario Giacomelli. Mi affascinava l’idea di fotografare un lato della vita di queste persone che solitamente nessuno vede.
Come sei stata accolta dal gruppo di suore che hai seguito per il progetto? La macchina fotografica per loro era un elemento ostile o meno?
Accedere al Convento non è stato difficile, la vera sfida è stata guadagnarsi la fiducia di un gruppo di donne che non amano stare al centro dell’attenzione. All’inizio alcune erano molto imbarazzate di fronte alla macchina, una di loro in seguito mi ha confidato che si sentiva terrorizzata dall’idea di essere fotografata.
In corrispondenza dell’uscita del libro Morgana, Michela Murgia ha parlato delle suore come dei modelli della sua infanzia. Vedeva in loro la possibilità di sovvertire le regole tradizionali imposte alle donne, sottraendosi al destino da angelo del focolare, per una vita diversa, in comunità tutte al femminile. Tu che hai vissuto a stretto contatto con loro, cosa ne pensi?
Penso che la vita delle donne religiose sia cambiata molto rispetto al passato e continua ad evolversi, di pari passo con i cambiamenti della società. Generalizzare è difficile, credo che per capire la motivazione dietro la scelta di ciascuna di queste donne bisogna tenere conto del contesto socio-culturale e storico dal quale provengono.
A cos’altro stai lavorando?
Nel 2020 filmerò un documentario in Messico, un progetto al quale sto lavorando insieme ad altre due persone. Intanto sto pensando di iniziare un nuovo reportage fotografico qui a Londra ma sono ancora nella fase di progettazione!
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