Categorie: Libri ed editoria

Inevitabilità e spettacolo, in Andy Warhol

di - 6 Gennaio 2022

Il 3 giugno 1968, due giorni prima dell’assassinio di Bob Kennedy a Los Angeles, nell’atrio dello studio di Andy Warhol alla Factory di New York, risuonarono quattro colpi di arma da fuoco. Valerie Solanas, ventottenne statunitense, scrittrice, attrice e femminista radicale, aveva puntato una pistola calibro ventidue contro Andy, il quale non si era degnato di dare una risposta al suo “Up your ass” (letteralmente tradotto: “In culo a te”): un copione da lei proposto per un dramma che Warhol stesso ritenne impostato oltre ogni misura per la forte componente pornografica; tanto da fargli venire il sospetto che quella storia della Solanas fosse un marchingegno architettato dalla polizia per incastrarlo.
Come è noto Andy Warhol fu colpito per ben tre volte all’addome e al torace, e con lui anche il suo compagno Mario Amaya (che però riportò lievi ferite).
Questo drammatico episodio, in cui l’artista americano venne a trovarsi tra la vita e la morte, può essere considerato uno spartiacque nel suo percorso culturale ed umano, al punto che si può ipotizzare un ‘prima’ e un ‘dopo’ Valerie. E il ‘prima’, per Warhol, non furono soltanto i successi dei Brillo Box del 1964 o i film come Empire, Restaurant del 1965, The Closet del 1966, ma anche una straordinaria esperienza artistica, in parte del tutto dimenticata dalla critica d’arte successiva: ci riferiamo a quella dimensione sperimentale in cui Warhol profuse tutto sè stesso nella gestione e messa in opera di uno eccezionale ‘spettacolo’ basato sull’intreccio di più linguaggi.
A distanza di tanti anni, nonostante il lunghissimo silenzio stampa, Luca Palermo – brillante docente presso il dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università degli Studi della Campania “L. Vanvitelli” – ha dato alle stampe la storia dell’Exploding Plastic Inevitable di Andy Warhol, edito da Postmedia Books.
Dopo una limpida introduzione di Marco Senaldi, l’autore presenta al lettore una analisi accurata di questa peculiare esperienza warholiana, il cui titolo – declinato poi nell’acronimo EPI – è già di per sè un programma. Il progetto fu fortemente voluto da Andy Warhol che si affiancò a personaggi carismatici come Lou Reed i Velvet Hunderground e John Cale; oltre ad altre personalità del calibro di Edie Sedgwick, o la bellissima cantante Christa Päffgen (in arte Nico), e poi lo strepitoso ballerino, e assistente dell’artista, Gerard Malanga, e ancora Billy Linich, Mary Piffath, Donald Lyons, Barbara Rubin, Maureen Tucher, Sterling Morrison.

La storia dell’EPI fu, a suo tempo, un coacervo di sperimentazioni ed emozioni; una storia tutto sommato breve, intensa e bruciante, che ha avuto come antecedente la gestazione degli spettacoli dell’Up-Tight, iniziati il 15 dicembre 1965 al Cafè Bizzarre sulla West 3RD Street di New York e replicati, successivamente, nel gennaio del 1966 nell’ambito di una cena organizzata N.Y. Society for Clinical Psichiatry presso l’Hotel Delmonico di New York. Le reazioni furono contrastanti. Warhol intendeva rompere con il concetto di normalità, confondendo e innervosendo il pubblico. Un ‘rodaggio’ incredibile, quello dell’Up-Tight, che sfocerà nella incontenibile esuberanza dell’EPI, in quel caleidoscopio di suoni e colori, sovrapposizioni di filmati, di effetti luministici e stroboscopici, di fruste, pelli e strisce di nastro fosforescente manovrati con maestria da Gerard Malanga. Una atmosfera che alcuni autorevoli testimoni hanno cercato di rievocare.

L’esterno del Dom con il banner dell’Exploding Plastic Inevitable. © Fred W. McDarrah

A tal proposito così si espresse John Wilcock, redattore del New York Village Voice: “Mentre un proiettore sul pavimento riproduceva Couch di Warhol (1964), altri due proiettori posizionati sulla balconata furono accesi, proiettando due film diversi sulle strette strisce di muro accanto al palco. Un riflettore colorato sul palco era puntato sulla sfera specchiante che ruotava sul soffitto inviando punti di luce su precise aree della stanza. Un globo di plastica brillava in cicli di cangianti colori pastello […]. Proiezioni colorate fuoriuscivano dagli angoli accarezzando i ballerini con fasci di verde, arancione, viola. Ad un certo punto tre altoparlanti stavano emettendo una cacofonia di suoni diversi; tre dischi suonati contemporaneamente […]. Il film Vinyl del 1965 era oscurato da diapositive i cui motivi a colori vivaci erano proiettati da due proiettori […]. Tagli di rosso e blu, quadrati di bianco e nero, file di punti danzanti coprivano le pareti, il soffitto, i ballerini” [t.d.a.].

Locandina dell’Exploding Plastic Inevitable al Trip di Los Angeles, 3-18 Maggio 1966

Di questa straordinaria esperienza non restano soltanto le poche parole di critici e giornalisti, ma anche, fortunatamente, qualche filmato; in primis quello di Ronald Nameth girato nel giugno del 1966 in occasione della presentazione al Poor Richard’s di Chicago (che il lettore interessato potrà facilmente trovare in rete).
Dunque Exploding Plastic Inevitable, concepito come espansione spazio temporale attraverso l’artificialità dello spettacolo (plastic) e dell’inevitabilità dell’accadere delle cose, che attestano la fredda lungimiranza di Warhol. Uno spettacolo che in un certo senso faceva suo l’assunto wagneriano del gesamtkustenwerk, cioè quell’opera totale intesa come fusione di tutte le arti. Non a caso lo stesso Matthew Wilson Smith (professore di studi teatrali e performance all’Università di Stanford) ne parla nel suo The Total Work Of Art: From Bayreuth to Cyberspace pubblicato nel 2007. Insomma, un’opera totale che apriva alla dimensione sociale fuori da ogni canone prestabilito. Del resto,non è forse vero che Guy Debord, in quegli stessi anni, affermò che “lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra gli individui, mediato dalle immagini”?

Warhol ed i Velvet Underground al Trip di Los Angeles, Maggio 1966. ©Billy Name

Dunque questo studio di Luca Palermo – come sottolinea appropriatamente Marco Senaldi nella sua introduzione – “schiude … una serie di considerazioni sullo statuto, l’impiego e la funzione delle immagini nelle operazioni artistiche dalle avanguardie a oggi, che ci spingono a domandarci se gran parte delle categorie con cui le affrontiamo non siano definitivamente obsolete”.

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