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fino al 17.II.2007 | Seeing the invisibile | Milano, Galleria Riccardo Crespi

di - 2 Febbraio 2007

In Seeing the invisibile l’oggetto d’arte non c’è. È camuffato, nascosto o duplicato e annientato dalla sua descrizione. Oppure evocato nella sua assenza-essenza. Però è lì, “proprio di fronte a te”, dice Kristina Braein, paradossalmente messo in mostra senza giochi logici, nella sua interezza, come oggetto subito riconoscibile. Basta vederlo (e forse volerlo?).
La mostra raccoglie undici esercizi di negazione e nascondimento di altrettante opere, che vengono quindi esibite in un gioco di paradossi. La disposizione degli oggetti, opere di 12 giovani artisti, è tesa a banalizzarli e renderli invisibili, salvo essere pronti a “cambiare posto”, come suggerisce Melvin Moti (1977). È piuttosto interessante vedere come linee di forza intangibili conducano verso le opere soggette al camouflage di una disposizione volutamente non “gratificante”, nel rispetto degli intenti curatoriali di Shin Il Kim e Valeria Sculte-Fischedick.
Caso lampante è l’attrattiva esercitata dall’installazione concettuale di Heman Chong (Singapore, 1977), un mucchio di cartoline usate come fermaporta. L’espediente restituisce all’osservatore la storia pulp del gallerista che, avendo ricevuto le cartoline di Chong, le utilizzò spregiativamente come door ajar, salvo restituirle quando furono così sporche e deteriorate da risultare inutilizzabili. Un rifiuto, dunque, condizione comoda per non-fare-non-essere-quindi-essere-invisibili, è occasione creativa per Conor McGrady, (Irlanda, 1977), che vedendosi bloccare due grandi gouaches in dogana le riproduce in situ a Milano, ma denuncia l’accaduto attraverso un’operazione di lettering che diviene terza, irriverente, opera in mostra.
La tensione di un’arte “politicamente” informata conn ota anche l’opera fotografica di Charif Benhelima (1967), di nazionalità belga e ascendenze marocchino-giudaiche, che esprime tautologicamente l’invisibilità di radici e tradizioni oramai perdute nella composizione di foto-ritratto sbiadite, in cui le identità di visi ebraici e musulmani si confondono. La tensione emotiva di queste opere difetta invece in Kristina Braein (1955), il cui lavoro non a caso riesce benissimo a scomparire nello spazio della galleria.
Graffia invece, la proposta di John Hawke (1978) con Sancho Silva (1973). L’artista newyorkese propone un lavoro site specific, nel linguaggio che gli è proprio, ovvero avvalendosi della fodera plastica arancione che, delimitando i cantieri di tutto il mondo, è divenuto “materiale semiotico” di riconoscimento per il suolo urbano antropizzato. L’installazione Mani invisibili collocata da Hawke in Piazza Sant’Ambrogio come gallery off ha infatti incuriosito molto.
Tra gli artisti in mostra sono presenti anche Michel de Broin, Jan Mancuska con l’accattivante 800 ways to describe a chair, Lucas Lenglet e Nasan Tur. Una particolare nota va poi all’elegante lavoro di Shin Il Kim, curatore oltre che artista in mostra, che per l’efficacia della sua comunicazione, conseguita attraverso l’assoluta rarefazione dei registri espressivo-materici adoperati, ricorda il regista Kim Ki-Duk (noto per Ferro3, la casa vuota), maestro nell’elargire visioni semplicemente poetiche.

link correlati
www.micheldebroin.org
www.conormcgrady.com
www.re-title.com

pamela larocca
mostra visitata il 14 dicembre 2006


Seeing the Invisibile, a cura di Shin Il Kim e Valeria Schulte-Fischedick
Galleria Riccardo Crespi, Via Mellerio 1 (perpendicoare Via Carducci), 20123 Milano – Ingresso libero – info@riccardocrespi.comwww.riccardocrespi.com
Tel: 0289072491 / 0236561618
Artisti in mostra: Charif Benhelima, Kristina Braein, Heman Chong, Michel de Broin, John Hawke, Shin Il Kim, Lucas Lenglet, Jan Mancuska, Conor McGrady, Melvin Moti, Sancho Silva, Nasan Tur


[exibart]

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