Viene allora da chiedersi dove
stia il valore innovativo di questa operazione. Per scoprirlo bisogna
sperimentare il rapporto con il contesto. Quello dei 15 pannelli fra loro: 5
video con 5 protagoniste intervallati da teli fotografici che le ritraggono.
Quello della Sala delle Cariatidi con le opere: mitiche figure femminili che
sopportano, che resistono alla guerra e sgretolate incorniciano in trasparenza
i volti delle protagoniste, stanchi e disillusi (Faezeh), beatamente folli
(Mahdokht), nervosamente fragili (Zarin), consapevolmente sconfitti (Farokh
Legha) o trasportati da un’ideale immortale (Munis).
Si assume la responsabilità di
questo match l’assessore alla cultura di Milano, Massimiliano Finazzer Flory.
Viene allora da riconoscergli il merito, condiviso con l’artista, di aver dato
luogo a una mostra che va oltre il rapporto uno a uno fra arte e spettatore.
Colpisce infatti la modalità di fruizione: i video si accendono uno al termine
dell’altro, trasportando i visitatori in un percorso comune, in un fluttuare al
ritmo onirico delle proiezioni. Quasi non si bada alla comodità dei divanetti
posizionati di fronte agli schermi, così rilassati dal clima di condivisione e sospensione
del tempo e del giudizio, da potersi sedere persino a terra.
L’affluenza è notevole in una
domenica sera verso l’orario di chiusura, probabilmente anche per la brevità
temporale dell’evento, e decisamente composita: non di sole femministe, ma di uomini e donne di
tutte le età. Oltre all’interesse per la condizione femminile nel mondo arabo,
si percepisce, non solo nell’artista che da anni persegue questa poetica, ma
anche nel pubblico, la fiducia che tale argomento possa generare arte e
cultura. Nonostante il coinvolgimento che generano e l’indirizzamento che
potrebbero operare sull’opinione dei visitatori, queste opere si sforzano di
non essere tendenziose.
Il video dedicato a Munis stimola
curiosità verso la storia, spingendo a guardare più in là rispetto a
un’immagine senza tempo di donna musulmana sottomessa e a riflettere sul fatto
che l’Iran non sia stato sempre quello di oggi. La scena di Zarin nell’hammam
smitizza questa giovane donna anoressica, ritratta poco prima come una Madonna
dal velo azzurro, inserendola in un contesto dove donne formose sembrano essere
a proprio agio nella loro femminilità e nel loro ruolo sociale.
Più che mettere in discussione la
tradizione, le protagoniste aprono gli occhi sull’effimerità di un essere donna
definito da valori che non si sentono propri. Tale consapevolezza porta però
alla scoperta dolorosa di essere persone comuni – non più ninfa ma prostituta
(Zarin), non angelo del focolare ma oggetto di uno stupro (Faezeh) – e allo
smarrimento di senso per la propria vita.
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anita fumagalli
mostra visitata il 6 febbraio
2011
dal 28
gennaio all’otto marzo 2011
Shirin
Neshat – Women without men. Donne senza uomini
Palazzo Reale –
Sala delle Cariatidi
Piazza Duomo, 12 – 20122 Milano
Orario: tutti i giorni ore 9.30-19.30; lunedì ore 14.30-19.30; giovedì ore
9.30-22.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero € 5; ridotto € 4
Catalogo Charta
Info: tel. +39 0248194494; www.changeperformingarts.com
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