Manuel Gualandi, Dentro la Tempesta, 2025, SPARC Venezia, foto Nico Covre
C’è una qualità porosa e viva negli spazi che accolgono la pittura con discrezione. SPARC* a Venezia ne è un esempio: un luogo che è insieme casa e progetto, studio e galleria, spazio di visione e di lavoro. Curato da Francesca Giubilei e Luca Berta di Venice Art Factory, questo appartamento restaurato, affacciato su una delle geografie più dense d’arte della città, diventa con Dentro la Tempesta il teatro intimo e necessario per il percorso pittorico di Manuel Gualandi.
SPARC*, acronimo di Spazio Arte Contemporanea, è anche un gioco di parole: spark significa scintilla e richiama il fulmine che squarcia il cielo nella Tempesta di Giorgione. Una coincidenza semantica che si rivela illuminante e che potrebbe valere come chiave interpretativa dell’intera esposizione: un cortocircuito tra luogo e opera, tra contenitore e contenuto, tra memoria e visione.
Il progetto, a cura di Daniele Capra, nasce infatti da un confronto lungo e profondo con la Tempesta, capolavoro enigmatico del Rinascimento e ossessione trasversale a generazioni di artisti. Gualandi sceglie però una via diversa dal semplice omaggio o dalla citazione postmoderna: non cerca di replicare né di decifrare l’opera giorgionesca, ma la attraversa, facendone il punto di partenza per una ricerca pittorica che è al tempo stesso anche temporale, emotiva e filosofica.
«Ciò che mi ha colpito» – dice l’artista, ex studente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia – «è la relazione muta tra l’uomo e la donna. Un enigma che resiste, che non si lascia risolvere». Così anche le sue tele resistono alla chiarezza, al racconto, alla forma definitiva. La mostra si apre con una serie di lavori realizzati su riproduzioni ad alta risoluzione dell’opera di Giorgione, stirate nelle proporzioni, deformate, manipolate. Da queste basi Gualandi innesca un processo pittorico che alterna libertà e padronanza, fisicità e trasparenza, allusione e dissoluzione. Ogni opera è un esercizio di immersione: le figure si offuscano, il paesaggio si sgretola, la pittura prende il sopravvento.
Lungo il percorso espositivo l’artista si emancipa progressivamente dal modello. Le opere sono disposte secondo un ordine cronologico che riflette un processo di graduale sottrazione: la pittura diventa autonoma, si svincola dal referente originario e prende una direzione interiore. Le componenti figurative si rarefanno fino a scomparire, lasciando spazio a campiture cromatiche monocrome nate come «campionature di colore», tentativi di «avvicinare le tinte inarrivabili di Giorgione».
Se l’originale è irripetibile, la pittura può almeno evocarne la brillantezza, l’aura, l’eco luminosa. Il confine tra Giorgione e Gualandi non si misura nella fedeltà formale, né nel soggetto, ma in una soglia di percezione più sottile. È la gamma cromatica a sancire quella distanza, a segnare il passaggio da una memoria collettiva a una visione personale. I colori di Gualandi si staccano con decisione, trasformando la citazione in un campo aperto di possibilità. Quando, come racconta l’artista, «non avevo più bisogno della riproduzione davanti, dipingevo dalla retina», il quadro smette di appartenere al passato e inizia a parlare in prima persona.
Manuel Gualandi si muove così in un paesaggio evanescente che sfugge a ogni narrazione, prolungandone la sospensione. La Tempesta è diventata per lui un «paesaggio psichico, un archetipo della visione» e qui si apre uno spazio poetico che coinvolge anche lo spettatore: vedere queste opere non significa riconoscere, ma disimparare, lasciar agire la memoria visiva in forma fluida, instabile.
Anche il tema del nudo – presente nell’opera originaria e latente nel lavoro di Gualandi – si trasforma. La componente erotica resta trattenuta, sottesa, ma agisce come tensione interna e costante. Una forza che non esplode, ma stratifica lentamente la materia. Non c’è idealizzazione, non c’è racconto, ma una simbiosi organica tra figura e colore, corpo e paesaggio.
I disegni dell’artista proseguono questa logica dell’essenziale che culmina in una stampa digitale, concepita come base concettuale mai definitivamente risolta, la quale riflette il conflitto tra controllo e abbandono, tra codice e densità visiva.
Il dialogo con lo spazio rafforza l’intrinseca qualità percettiva erecettiva. Le stanze luminose di SPARC*, con i loro pavimenti veneziani e la luce che filtra da finestre antiche, non impongono un ritmo museale, ma offrono tempo, accompagnando il visitatore in una relazione intima con le opere. La dimensione domestica accoglie i lavori come corpi sensibili che non invadono, non guidano, ma chiedono lentezza e disponibilità a smarrirsi.
In questa esposizione Gualandi non spiega Giorgione, gli resta accanto come chi attraversa una tempesta sapendo che non troverà un centro, ma solo la possibilità di stare, di sentire, di vedere. Dentro la Tempesta è un esercizio di ascolto pittorico, un esperimento sul limite dell’immagine, ma anche un atto di fiducia nella pittura come forma di pensiero, come modo per abitare l’enigma. In questo, la sua tempesta non è solo atmosferica o figurativa: è uno stato dell’essere, un campo da attraversare lasciandosi cambiare.
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