Carole A. Feuerman, La voce del corpo
Alcuni artisti sono stati identificati così a lungo con un’immagine-simbolo da rischiare di coincidere con essa. È il caso di Carole A. Feuerman, nota al grande pubblico soprattutto per le sue celebri nuotatrici, ma la cui ricerca, in realtà, si è sempre nutrita di una riflessione più ampia sul corpo, sulla memoria, sulla percezione del sé. La mostra La voce del corpo, a cura di Demetrio Paparoni, prima grande retrospettiva italiana dedicata all’artista americana, ha il merito di riconsegnare complessità e profondità a una pratica che, dagli anni Settanta a oggi, ha saputo raccontare vulnerabilità e bellezza del corpo. Sedotta come tanti dalla corrente iperrealista, emersa alla fine degli anni Sessanta come reazione tanto alla freddezza concettuale del minimalismo quanto alla serialità della Pop Art, di cui è forse una delle conseguenze più estreme, ha riportato al centro l’umano, il sensibile, l’esperienza carnale.
Feuerman nasce nel 1945 a Hartford, nel Connecticut, e si forma alla School of Visual Arts di New York. Fin dagli esordi lavora con calchi dal vero di corpi maschili e femminili. Ma il corpo femminile, in particolare, diventa per lei uno strumento narrativo e simbolico, attraverso cui ribaltare stereotipi e restituire un’immagine nuova di forza, bellezza e sensualità. Una scelta chiara e radicale, che emerge già nella sua prima mostra del 1978, Fragments, Rated X, chiusa dopo appena un giorno perché ritenuta troppo provocatoria. Negli stessi anni lavora come illustratrice per copertine di riviste e materiali promozionali legati al mondo del rock, tra cui i tour dei Rolling Stones e di Alice Cooper. Nel 1975 realizza il suo primo calco scultoreo per la copertina del National Lampoon, rivista americana satirica e provocatoria, attiva dal 1970 al 1998, che, frutto dell’esperienza del The Harvard Lampoon, si distinse per il suo umorismo irriverente, una grafica audace e un’impronta culturale capace di influenzare anche il cinema, pensiamo ad Animal House.
A partire da quel momento, il linguaggio di Feuerman si amplia, dando forma a opere frammentarie attraversate da una sensualità esplicita e controllata. Le sue sculture non si limitano a ingannare l’occhio con l’illusione del vero, ma coinvolgono lo spettatore in un processo immaginativo, invitandolo a completare la scena e a costruire un proprio racconto.
Con l’ingresso negli anni Ottanta, l’artista abbandona progressivamente il frammento per dedicarsi a figure intere, senza mai rinunciare alla coerenza della propria poetica: restituire emozione attraverso la presenza fisica, la pelle, l’acqua, la postura.
L’acqua, in particolare, assume un ruolo centrale, trasformandosi in cifra stilistica a partire da un ricordo d’infanzia legato ai pomeriggi trascorsi in spiaggia e alla fascinazione per le gocce sulla pelle. È proprio osservando una nuotatrice, durante una giornata al mare con i figli, che nel 1978 nasce Catalina, la sua prima scultura acquatica. Nel tempo, Feuerman è diventata una delle principali figure dell’iperrealismo internazionale e l’unica donna a operare stabilmente con questa tecnica. Le sue opere sono state esposte in sedi prestigiose, da Central Park e Park Avenue a New York, all’Art D’Égypte al Cairo, dalla National Portrait Gallery di Washington D.C. all’Hermitage di San Pietroburgo, fino a Palazzo Strozzi a Firenze. Fanno parte di oltre trenta musei e collezioni pubbliche, oltre che di raccolte private come quelle di Steven A. Cohen, Bill Clinton, Henry Kissinger e Malcolm Forbes. Nel 2011 fonda la Carole A. Feuerman Sculpture Foundation, con l’obiettivo di sostenere artiste emergenti, promuovere la conservazione del proprio archivio e stimolare la ricerca nel campo della scultura.
Nel percorso espositivo di Palazzo Bonaparte a Roma, le sue opere dialogano con l’opulenza storica degli ambienti. Dalle celebri sculture in resina o bronzo alle sfere specchianti in acciaio, dai lavori giovanili come grafica pubblicitaria all’installazione Mitologie individuali, presentata per la prima volta proprio a Roma e realizzata in collaborazione con il designer Marcello Panza, ogni opera si inserisce in un fluido continuum tra memoria, materia e identità.
Al centro, naturalmente, ci sono le sue figure femminili: una bagnante che emerge dal mare ancora imperlata d’acqua, una donna in meditazione su una sfera riflettente, una ballerina evocata da una sola gamba e da una scarpetta, un busto nudo, mani che si aggrappano a un salvagente. Il corpo diventa così soggetto e, insieme, oggetto di riflessione. «Ogni opera – spiega l’artista – porta con sé un’esperienza che vorrei non andasse mai perduta». È in questo scarto tra perfezione formale e intensità emotiva che si coglie la vera poetica di Feuerman, la ripetizione come variazione, la memoria come gesto e la pelle come superficie narrativa.
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