Lygia Clark, Collective Body, 1970, courtesy of Cultural Association “The World of Lygia Clark”
È ancora in corso, nel museo modernista progettato da Ludwig Mies van der Rohe, la mostra Retrospektive di Lygia Clark. La Neue Nationalgalerie di Berlino offre la possibilità di approfondire la conoscenza di un’artista poco valorizzata da istituzioni museali, gallerie e Biennali. È una prospettiva culturale, avviata con importanti esposizioni di Yoko Ono, Nan Goldin, Isa Genzken, di rivalutazione, potenziamento di artiste che caratterizza il museo berlinese. Lygia Clark (1920-1988) si afferma alla fine degli anni ’50 all’interno del movimento neo-concreto brasiliano, praticando un’arte incarnata che lavora, agisce sulle relazioni tra opera e spazio, artista e spettatore.
Retrospektive si snoda come un nastro trasparente amplificato dalle grandi vetrate del capolavoro di van der Rohe. Il percorso è organizzato come un arcipelago con isole che punteggiano lo spazio aperto del museo. Si comincia dai primi dipinti influenzati dal cubismo costruttivista di Fernand Leger, scoperto e amato in un viaggio a Parigi in cui frequenta lo studio dell’artista. La pittura della Clark è segnata da toni tenui e profondamente femminili. Linee, forme geometriche primarie restituiscono frammenti urbani, visioni di città immaginarie ad alta intensità poetica. Basti pensare al ciclo delle Composição che segna i suoi esordi (1950/54). Verso la fine degli anni Cinquanta c’è una svolta in direzione della scultura in cui iniziano ad apparire i primi segnali di ricerca del coinvolgimento del pubblico.
Sculture in metallo come Bicho Caranguejo Linear (1959) sono strutture dalle forme geometriche pieghevoli che chiedono al pubblico di scoprirne il funzionamento, di approcciarsi tattilmente per sentire la vibrazione, la temperatura della materia di cui sono fatte. Il ciclo dei bichos (animaletti) è per la Clark un passaggio verso un dinamismo non solo formale ma linguistico in cui pittura, scultura e forma architettonica si integrano attraverso il gioco delle piegature, delle interazioni. In mostra vi sono alcune repliche commissionate per l’occasione. In aree contrassegnate da tappeti bordeaux, i frammenti geometrici possono essere aperti o ripiegati su un piano, come un dipinto, abbattendo i confini tra le forme e i linguaggi. È la ricerca di una fluidità dinamica che punta a superare l’astrazione geometrica che lei stessa ha sostenuto come membro del Grupo Frente di Rio de Janeiro. La Clark vede l’arte come esperienza immersiva, intuitiva e corporea. Infatti, la gran parte di Retrospektive è composta da opere interattive, dall’alto potenziale di coinvolgimento del pubblico.
Materiali e oggetti poveri come sacchetti di plastica, guanti contengono texture schiacciabili o sorprendentemente dure. Un guanto peloso ricorda il capolavoro surrealista di Meret Oppenheim Colazione in pelliccia (1936). È forse Tunnel (1968), un’opera in tessuto lunga cinquanta metri simile a una calza in cui ci si può infilare e vivere un attraversamento spaziale e emozionale, a restituire questa tensione partecipata dell’arte di Lygia Clark. Non ho avuto il coraggio di provare quest’esperienza ma il mio amico Antonio Carallo, danzatore di Pina Bausch, coraggiosamente si è immerso nel Tunnel uscendone ansimante e paonazzo. Ecco che il cuore pulsante della mostra si concentra, quindi, attorno agli Objetos sensoriais (Oggetti sensoriali, 1966-67), che possono essere maneggiati e indossati per stimolare percezioni corporee uniche e ancora gli Objetos relacionais (Oggetti relazionali, fine anni ’70-’80), realizzati con pietre, conchiglie, collant e altri materiali che l’artista ha creato e sperimentato nelle sue famose sessioni di psicoterapia.
Immersa nelle teorie dello psicoanalista Donald Winnicott, che credeva che gli oggetti aiutassero i pazienti a regolare l’ansia, la Clark diventa lei stessa una terapeuta. Il video Body Memory (1984) mostra alcuni dei suoi esperimenti con i pazienti rendendo le sessioni di terapia delle autentiche performance artistiche sviluppate con la complicità dei pazienti. L’obiettivo della sua pratica artistica è quello di generare la fusione dei corpi in un’entità collettiva, sia attraverso un bozzolo simile a una ragnatela, sia attraverso il suggerimento di mangiarsi a vicenda: lei vedeva questi atti come atti ribelli di comunanza sensoriale, che erano un’azione politica contro il regime autoritario della dittatura militare brasiliana (1964-85).
La vicenda artistica di Lygia Clark continua a essere coinvolgente e radicale nella sua proposta di come potremmo interagire non solo con i nostri corpi come mezzo per accedere alla nostra identità, ma anche come le esperienze relazionali possano costituire una fisicità collettiva in cui tutti sono uguali e proattivi.
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