Appena arrivato a Napoli, ero solito iniettarmi di bel canto a mezzo auricolare preferendo su tutto Napul’è. Ti muovi per le strade, osservi e ascolti quanto affiora dai tuoi passi, metti insieme l’irripetibile col riprodotto e continui a isolarti dall’ambiente intorno preferendogli un lettore mp3. Se arrivare a Napoli poteva significare ricongiungersi con una certa antologia musicale stipata nelle cartelle del lettore, frequentare la dimensione concertistica della musica al pari delle relazioni che la animano, con Pino Daniele restò tutto opportunamente irraggiungibile: vicino all’ascolto quanto lontano in un tempo sospeso, rifugio di una memoria non vissuta, eppure rivendicabile a più riprese. Quando passeggio ancora per le strade che limitano Santa Chiara, posso meravigliarmi di ritrovarlo investito di responsabilità commerciali anche nell’esercizio di una tazzulella e cafè. Cammini oltre e te lo trovi targa, onorato dalla toponomastica unitamente a una chitarra che ne segnala la continuità strumentale.
La produzione bibliografica su Pino Daniele è in costante aumento. Ce n’è di tutti i tipi, per tutti i gusti: dall’arrangiamento in chiave colta del maestro x al libro tra cultura e identità del giornalista y, la scalata editoriale alla ricostruzione di un fenomeno musicale passa per la lettura silenziosa. Il mercato discografico non è da meno, riservandoci nuove proposte dello stesso materiale e la stessa condizione imitativa viene fuori dagli spettacoli allestiti nei più diversi luoghi della musica: Pino Daniele lo puoi portare al pub e al Teatro Augusteo, cosa cambierebbe?
Chissà dove è stipata, dunque, una memoria condivisa su Pino Daniele che vada oltre le bacheche dei social, se qualcuno ascolta ancora insieme qualche disco di Pino Daniele, giusto per non farne riempitivo del tempo che scorrerebbe comunque. Qualora questa dimensione collettiva sia appannaggio del solo revival concertistico, ci sarebbe da riflettere su come sia altrimenti tale solo se coercita nei bar e nei ristoranti, luoghi che in questa Napoli si prestano a recitare come piccole palle di vetro senza neve.
Pino Daniele così rifunzionalizzato ci interroga sui limiti dell’azione della musica pop sulla società (non più viceversa): munito di ventose, si arrampica sugli specchi di un calendario digitale a misura di booking e ryanair e chiama a raccolta tanto i visitors quanto i residenti, entrambi pronti a vivere diversamente questa condivisione, una temporalità sospesa fatta di genovese e ziti lardiati conditi dalla discografia in quanto tale se non gourmet.
In alcuni comunicati stampa che girano tra gli addetti alla cosa pubblica musicale, Napoli presenterebbe uno stanco e duplice volto, classico e pop, cui si profila una cerberizzazione in atto ad opera di alcuni interdisciplinaristi delle arti vere, non più applicate. Attraverso la musica continuerebbero dunque a passare messaggi perifericamente politici che racconterebbero anche di un’etica, ed ecco svelato perché sono alla ricerca continua di un pubblico per farsi sentireascoltare.
Anche ad Altavilla Irpina c’è una strada intitolata a Pino Daniele. Come a dire, anche lontano da Napoli c’è chi fa politica culturale servendosi di Pino.
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