«Non sono più un antropologo. È stata l’antropologia a tirarmi fuori da me stesso, ad allargare i miei confini e a far si che continuassi a vedere. Mi ha aperto il mondo. L’antropologia ha distrutto la certezza della mia educazione, mi ha insegnato a giocare con la differenza. Dall’antropologia ho ricevuto il dono del pensiero mutevole». Sono parole di Richard Nonas (nato a New York nel 1936 e scomparso oggi, a 85 anni), raccolte in occasione della mostra “No-Water-In”, alla galleria P420 di Bologna nel 2011.
Dopo il percorso di studi in antropologia e letteratura all’Università del Michigan, al Lafayette College, alla Columbia University e all’Università del North Carolina, Nonas aveva intrapreso una serie di ricerche dedicate ai nativi americani nell’Ontario, in Canada, in Messico. Poi la scoperta della sua vera natura, l’allargamento dei confini verso la scultura modulare, in pieno clima Minimalista, indicato dai critici dell’epoca come vicino alle tensioni di Richard Serra, Joel Shapiro e Dorothea Rockburne.
Tra le sue varie partecipazioni internazionali, a partire dai primi anni ’70, vi sono la Whitney Biennial del 1973, la Guggenheim Fellowship ottenuta nel 1974, il progetto permanente per il Museo d’Arte di Grenoble, nel 1994, ma anche l’incarico del North Dakota Museum of Art che negli stessi anni diede la possibilità all’artista di progettare il giardino di sculture. Nel 2012, nel villaggio abbandonato di Vière et les Moyennes Montagnes, in Francia, Nonas realizzò un’altra installazione permanente. Opere di Nonas si trovano inoltre nella collezione permanente del Walker Art Center di Minneapolis, del Metropolitan Museum e del Whitney Museum of American Art di New York e anche alla Fondazione Ratti, a Como.
Riguardo al suo lavoro Nonas ha scritto: “Vidi che oggetti semplici erano frammenti che potevano convogliare un’emozione umana complessa verso una via istantanea, immediata, indivisa che non era alla portata delle parole”.
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