Categorie: Personaggi

DENUNCE ALLA MODA

di - 17 Dicembre 2008
Qui è la fine del mondo… Un altro mondo è possibile?”. Una ricerca lunga quasi un ventennio, attraversando confini inviolati e strade concettuali impervie, sperimentando linguaggi e forme, per dare corpo all’utopia. Lucy Orta (Sutton Coldfield, 1966; vive a Parigi), indiscussa protagonista della scena artistica contemporanea mondiale, ha presentato nel corso del convegno Arte e moda – tenutosi allo Spazio Oberdan di Milano il 2 dicembre e inserito nel ciclo di conferenze promosso dalla Provincia Perché non parli. L’arte tra le discipline? – il suo lavoro di costante ricerca, condiviso da oltre quindici anni con il marito Jorge, artista argentino. Un’intensa produzione artistica, approdata nel 2007 alla Biennale della Fine del mondo con il progetto Antarctica, presentato in Italia la scorsa primavera in una mostra allestita all’Hangar Bicocca.

Se il vestito è “l’architettura dell’anima”, allora potrà essere la chiave per ricostruire millenni di vita umana, comprenderne i conflitti, scardinarne ipocrisie, smascherare false idiosincrasie, dare risposte a scomode urgenze. Lucy Orta, al pubblico milanese che l’ha seguita con profondo interesse in un excursus accompagnato da una suggestiva carrellata fotografica, ha ribadito di non sentirsi assolutamente una “fashion designer”, ma un’artista che si muove nell’arte contemporanea, prevalentemente attraverso progetti, performance e installazioni che trovano nell’architettura urbana il luogo ideale per concretizzarsi, sollevando dubbi critici sul presente, mettendo in discussione le false certezze di un mondo che scappa troppo facilmente da responsabilità improcrastinabili.
Per Lucy Orta, dunque, essere artista vuol dire vivere il presente con coscienza critica e con la consapevolezza che fare arte non significa solo ricerca estetica. Soprattutto, arte è occuparsi di questione morale. Da qui i suoi esordi negli anni ‘90 con gli abiti rifugio, metafore di disagio e sopravvivenza, quando il mondo occidentale si gongolava nell’estrema opulenza, dimenticando il dramma di 25 milioni di curdi in fuga, senza più casa né patria.
E ancora, le indagini della body architect sulla scia degli interrogativi del filosofo Paul Virilio sui “legami sociali”, “il crollo della famiglia” e “la difficoltà di comunicazione negli spazi condivisi”. Interrogativi che, per Lucy Orta, divengono l’occasione per progettare installazioni urbane in cui centinaia d’individui entrano in “relazione” con abiti connessi da altrettante cerniere, che servono proprio a “tessere legami impossibili”.
Succede quindi che l’arte, l’architettura, il design, la moda e la danza moderna costruiscano ponti fra il tessuto sociale e l’evento performativo. Tessiture fra lo spazio collettivo e lo spazio personale. E ciò avviene attraverso eventi volutamente “politici”, che mettono al centro il valore della “pace”, acclamata da clamorose performance contro la guerra in Iraq e vissute in rigoroso silenzio.
Per Lucy Orta, l’arte deve vestirsi d’impegno sociale: si pensi ai temi della fame nel mondo, della questione dell’acqua come risorsa indispensabile per tutti, e alle forti denunce contro la privatizzazione, fino ai lungimiranti progetti per una giusta distribuzione e per la potabilizzazione; e, ancora, per la salvaguardia dell’ambiente.
Insomma, “l’arte deve indossare un aspetto critico per contribuire allo sviluppo ecologico; l’arte deve porre domande sulle grandi questioni umane. L’arte, l’architettura, la moda sono strumenti di indagine. La mia è sicuramente arte concettuale, però gli argomenti di cui essa parla sono cose concrete… Niente di fantascientifico!”.
Neppure quando si parla di Antarctide, il progetto di “villaggio impossibile”, realizzato dopo un’attenta ricerca sul campo presso la base di Seymour-Marambio, al Polo Sud. L’idea – presentata alla Biennale della Fine del mondo nell’aprile 2007 a Ushuaia City, nella Terra del Fuoco – è un simbolico campo nomadi, composto da cinquanta tende costruite con le bandiere degli Stati del mondo, cucite a scampoli di vestiti smessi. L’utopistico progetto dei coniugi Orta, anche in questo caso, diventa “concreto”, poiché solleva una proposta di emendamento all’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, al fine di garantire a ogni individuo la possibilità di muoversi liberamente oltre i confini nazionali, senza subire alcun tipo di discriminazione.

Nel corso della mostra”, ha concluso Lucy Orta, “abbiamo simbolicamente distribuito i passaporti del mondo. Ce ne sono già 10mila. È un passaporto che consente a tutti gli esseri umani di muoversi… liberi nel mondo”.

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caterina misuraca

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  • ... strano... a volte si mandano in contemporanea stesso tipo di progetti o "utolpie" o credo fermi e portati avanti con determinazione ma qualcuno diventa più famoso degli altri!.. Non era una provocazione nei confronti di LUCY Orta( a cui faccio i miei migliori in bocca al lupo!) bensì un invito alla riflessione sul fenomeno della manovrabilità più o meno politica della denuncia sociale. Gli "antisociali" famosi calcheranno per caso gli stessi schemi del sociale che si vorrebbe infatti denunciare??? E se è così come mai sono così ben accetti nel non creare vero e proprio disturbo?______Grazie per l'attenzione.

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