Categorie: Personaggi

Idee per il futuro #15. Parlano gli artisti: Elena Mazzi

di - 23 Maggio 2020

Idee per il futuro è la nuova rubrica di exibart, per dare la parola agli artisti e immaginare, insieme, nuove idee per il futuro, oltre che per provare a capire come realizzarlo, dopo l’emergenza Covid-19: l’appuntamento di oggi è con Elena Mazzi.

La biografia di Elena Mazzi

Elena Mazzi è nata nel 1984, a Reggio Emilia, e ha studiato Storia dell’Arte presso l’Università di Siena. Nel 2011 si è laureata in Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Ha trascorso un periodo di studi all’estero presso la Royal Academy of Art (Konsthögskolan) di Stoccolma.

La sua poetica riguarda il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, il modo in cui l’essere umano decide di operare in esso, apportando un cambiamento. Seguendo prevalentemente un approccio antropologico, questa analisi indaga e documenta un’identità sia personale che collettiva, relativa a uno specifico territorio e che dà luogo a diverse forme di scambio e trasformazione.

Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive, tra cui:  Museo del Novecento di Firenze, Whitechapel gallery di Londra, GAMeC a Bergamo, MAMbo a Bologna, LOOP Festival di Barcellona, Thalie Art Foundation a Bruxelles, Sonje Art Center a Seoul, Palazzo Fortuny a Venezia, Fondazione Golinelli a Bologna, Centro Pecci per l’arte contemporanea a Prato, 16° Quadriennale di Roma, GAM di Torino, 14° Biennale di Istanbul, 17° BJCEM Biennale del Mediterraneo, Fondazione Bevilacqua La Masa.

Ha partecipato a diversi programmi di residenza tra cui ZK/U a Berlino, HIAP a Helsinki, Guilmi Art project in Abruzzo, Via Farini a Milano, Fundacion Botin in Spagna, Future Farmers A.I.R. a San Francisco, Botkyrka AIR a Stoccolma. Ha condotto workshop presso Università IUAV di Venezia, Accademia di Belle Arti di Verona, Fondazione Spinola Banna e altre istituzioni pubbliche e private e in spazi indipendenti.

Elena Mazzi, Self-portrait with a whalebone, backpack photograph, 2018

Le idee per il futuro

Tre cose che chiederesti per far fronte al futuro, come professionista dell’arte…

«È necessario che il Mibact preveda misure straordinarie in questo difficile momento, ma è anche necessario ripensare alle logiche dell’intero settore, agevolando l’attività professionale di tutte quelle figure che costituiscono il sistema di produzione dell’arte contemporanea (di cui l’artista è parte). Questo è uno dei motivi per cui tanti artisti e professionisti dell’arte rimangono intrappolati in contratti scadenti, senza tutele di nessun tipo. È necessaria la creazione di nuovi codici ATECO o la riformulazione di quelli già esistenti allo scopo di renderli più adeguati alle specifiche professionalità, nonché una rimodulazione dei coefficienti di redditività che, evidentemente, non rispecchiano gli effettivi costi (produzione, materiali, affitto studio, viaggi, comunicazione e promozione, ingressi a Musei, Fondazioni ecc…) legati alle professioni in questione.

Tante sono le necessità da adottare al più presto: la regolamentazione della politica dei compensi relativa alla produzione di contenuti digitali e on-line; la creazione di un fondo per gli artisti, e/o l’implementazione del già esistente, macchinoso e anacronistico fondo PSMSAD dell’Inps; la ristrutturazione del sistema dei bandi e dei premi per rendere l’accesso ai finanziamenti più trasparente, inclusivo e aderente ai reali processi di produzione culturale; il necessario abbassamento dell’IVA per chi decide di investire in arte; un maggior dialogo tra enti pubblici e privati. E poi, all’interno del sistema stesso, una revisione del codice etico che preveda un’equa retribuzione dei compensi, nonché l’applicazione e il monitoraggio della stessa.

In questo mese di pandemia ho iniziato a lavorare con il gruppo AWI – Art Workers Italia, la cui attività è volta a definire, sviluppare e mettere a regime strumenti di tipo etico, politico, giuridico e contrattuale. Trovate qui il manifesto, gli obiettivi e le nostre richieste a breve e lungo termine. Mi avevi chiesto tre cose? Purtroppo ne servono molte di più».

Ci puoi dire un motivo per cui, secondo te, ancora oggi in Italia si fatica a riconoscere i diritti degli artisti come categoria professionale?

«Categorizzare significa per forza di cose inquadrare, ed è ovviamente difficile incasellare il mestiere dell’artista. Ognuno ha un suo modo di lavorare, usa strumenti diversi, spazi diversi, ha necessità diverse. Ma ci sono molti modi di riunire gli artisti in una categoria professionale. Uno di questi, già utilizzato all’estero, consiste ad esempio nel verificare quanto un artista, nell’arco di un anno, riesce a vivere del proprio lavoro. Ciò non corrisponde solo al reddito che deriva dalla produzione e vendita di opere o dalla realizzazione di mostre, ma anche dalle entrate dovute ad altre attività che vanno considerate come parte integrante della sua professione: insegnamento, workshop, consulenze artistiche, conferenze, ecc…

La professione dell’artista non è del tutto equiparabile ad altre categorie di lavoratori, e per questo è necessaria una presa di coscienza da parte dello Stato rispetto allo specifico campo di produzione dell’artista che va al di là di un risultato prettamente economico. Questa consapevolezza è forse il punto di partenza per riconoscere gli artisti come una categoria professionale».

Parliamo dei danni, oltre a quelli morali. A quali progetti stavi lavorando prima di questo isolamento, ma soprattutto prevedi che si concretizzeranno o dovranno essere abbandonati?

«A dicembre 2019 avevo vinto il Bando dell’Italian Council per un progetto molto complesso ed articolato da sviluppare in stretto dialogo con le comunità indigene Mapuche nella Patagonia Argentina. Ero là da fine gennaio a fare ricerca sul campo, e sono dovuta rientrare prima del previsto, riuscendo a completare solo 2/3 del lavoro che mi ero prefissata. Il lavoro è stato interrotto e non so quando e come riuscirò a riprenderlo, tutti gli eventi ad esso correlati saranno sicuramente posticipati, in quanto la produzione non è nemmeno iniziata. Lo stesso vale per molte attività di workshop e didattica che avrei dovuto svolgere tra maggio e giugno. E poi una residenza in Australia prevista per fine anno, anche questa per il momento sospesa, ancora non so se sarà posticipata o cancellata definitivamente».

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