Non dico smart, ma neanche dumb!

di - 31 Marzo 2018
Malgrado sia già un po’ demodé affrontare il tema della smart city, è comunque da rilevare che questa visione della città, in alcuni aspetti forse un po’ troppo futuristica e in altri un po’ troppo strumentale, è comunque destinata a divenire una realtà.
Smart City è una visione del futuro, così come vorremmo fosse. Sarebbe giusto allora porre quella smart-city come obiettivo di lungo periodo (lunghissimo?) e lasciare che le sue realizzazioni concrete possano riguardare esclusivamente quelle realtà geografiche che per connotazione dello spazio urbano e per potenzialità economiche di spesa possono affrontarlo (si veda, ad esempio, l’International Business District di Songdo in Corea del Sud).
Perché non ragione invece su una clever city (città intelligente)?
Un’idea “un po’ meno” di smart, ma che comunque ci possa avvicinare a quell’obiettivo. Non è solo una provocazione, benintesi, ma un approccio strategico alla gestione concreta delle realtà urbane, elemento questo centrale all’affermarsi del paradigma della smart city.
Nelle sue formulazioni iniziali, infatti, la Smart City nasceva dalla constatazione che le Città (intese nelle sue componenti infrastrutturali) necessitano di manutenzione periodica e che, in occasione di tali interventi, si potevano applicare migliorie sistemiche in grado di rinnovare, nel tempo, l’intera infrastruttura urbana.
La smart city, dunque, nasce dalla constatazione del reale e da una concretezza che si è affievolita nel tempo.
Recuperare questo elemento di concretezza, tuttavia, è un’operazione necessaria, soprattutto in Italia, in cui i contesti urbani presentano, nella maggior parte dei casi, delle condizioni strutturali piuttosto deboli.
A Parigi le panchine ricaricano anche il cellulare
Non ha senso contrapporre le smart grid (la rete intelligente) alla mancata manutenzione del manto stradale, i trasporti green alle condizioni in cui versano parchi e giardini urbani. A ciò si aggiunga anche la difficoltà, per la costituzione del nostro tessuto urbano, di estendere ulteriormente le città, sia perché in molti casi questo è ormai geograficamente impossibile (con i confini urbani che si sono sempre più estesi) sia perché la nostra stratificazione storica influisce pesantemente su tutte le tipologie di lavori che prevedono attività di scavo (purtroppo, data la lentezza della macchina burocratica del nostro Paese, trovare durante dei lavori dei reperti archeologici rappresenta più una sciagura che un’opportunità).
Cosa fare dunque?
Si potrebbe iniziare ad attuare uno smart approach, una definizione di quelli che sono gli obiettivi, in termini di smart city, e un’applicazione graduale degli stessi, iniziando quantomeno a coinvolgere la cittadinanza.
Detto in altri termini, se sul lato infrastrutturale le nostre città diverranno smart con tempi molto lunghi, si potrebbe avviare ad attuare tutta una serie di azioni non invasive, che da un lato mirino ad un’educazione dei cittadini e dall’altro invece migliorino la relazione cittadino-territorio senza comportare ingenti costi per la collettività.
New York
Molto, in questo senso è stato già fatto a livello internazionale: l’applicazione di tecnologie iBeacon sul territorio potrebbe permettere, con costi tutto sommato sostenibili, una serie di sviluppi ed innovazioni sia da parte delle Amministrazioni, sia da parte di soggetti privati.
Quello che viene definito Internet of Things è un filone che potrebbe rendere possibili innovazioni (guidate da privati) destinate a modificare in modo importante il nostro territorio: dalla gestione dei flussi di traffico automobilistico, al parcheggio, ai flussi pedonali, alla relazione tra i flussi pedonali e i consumi (economici e culturali) così come rendere possibili tutte le dinamiche di gamification che tanto possono influire (in modo sottile) su comportanti socialmente desiderabili.
Avviare progetti pilota, in questo senso, è assolutamente alla portata della maggioranza delle città italiane per ciò che concerne l’aspetto economico, ma spesso è invece troppo lontano dalla cultura delle amministrazioni locali.
Se non si agisce su questo nodo, che crea uno stallo significativo, non si potrà che assistere ad ulteriori squilibri tra le varie aree geografiche della nostra Italia. È su questo punto che le Amministrazioni Centrali dovrebbero ragionare: creare gli strumenti perché soggetti privati, cittadini e amministrazioni possano cooperare per riuscire a raggiungere risultati, che forse non saranno smart ma che potrebbero sicuramente aiutare a rendere la gestione degli spazi urbani almeno più intelligente.

Stefano Monti

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