Fast and Fluxus

di - 15 Aprile 2015
Alle origini vi è una manifattura tessile in quel di Molvena, posizionata fra la pianure e le Prealpi vicentine arrivata alla quarta generazione, fondata nel 1912 per produrre cappelli di paglia, e trasformata nel 1972 da Luigi  Bonotto in una industria di livello internazionale. ‘Fabbrica Lenta’ per riscoprire il senso dell’artigianato industriale, e poter così disporre di una articolatissima produzione di tessuti, a cui attingono le grandi ditte dell’alta moda. L’evolversi della dimensione produttiva è andato di pari passo con una non meno pluridecennale passione per l’arte che, pur risalendo allo stesso fondatore, ha avuto però un deciso slancio agli inizi sempre degli anni ’70.
Ancora oggi non sono separabili l’abitazione privata dalla sede industriale, una sorta di continuità che costituisce il nucleo attuale della stessa Fondazione Bonotto, sorta per organizzare su un piano sempre più sistematico quella che è stata, ed è soprattutto una passione, un’affinità elettiva. Luigi Bonotto sente una profonda relazione fra il lavoro e l’arte; moltissimi gli artisti invitati a soggiornare a Molvena, a lavorare, a produrre e anche a collaborare con le maestranze. Quasi potesse crearsi una osmosi fra la produzione artistica e quella industriale, con le opere che letteralmente coprono le pareti degli spazi dove sono i grandi telai, così come costellano gli uffici, le sale riunioni e fanno dell’abitazione un museo vissuto.

Luigi Bonotto è convinto che l’arte abbia una capacità unica di toccare la sensibilità delle persone, al di là di qualsivoglia studio specifico, e di influenzarne la stessa resa produttiva: per vicinanza, per contagio. Come è successo a lui medesimo quando, disfacendosi della precedente collezione basata in particolare sull’Astrattismo, e su un insieme pur rilevante di opere di area veneta, ha cominciato a seguire artisti legati a Fluxus e alla poesia sperimentale (concreta, visiva, sonora). E collezionarne non solo le opere, ma anche la documentazione: dai manifesti, agli inviti, alle pubblicazioni nelle loro diverse tipologie (riviste, cataloghi, testi di vario formato e tiratura, e soprattutto i libri). È questo complesso insieme di materiali che rende la Fondazione Bonotto un punto di riferimento di livello internazionale, paragonabile per ricchezza e articolazione delle raccolte alle collezioni dei maggiori musei americani. E che ha reso possibile – nelle stanze della Bevilacqua La Masa, sede di Piazza S.Marco- organizzare la mostra “FLUXUSBOOKS, Fluxus artist Books from the Luigi Bonotto Collection”, catalogo ed esposizione curati da Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini (quest’ultimo riveste il ruolo di direttore artistico della Fondazione Bonotto).

Dunque la mostra (fino al 26 aprile 2015), ha un nucleo preciso: il libro nelle diverse declinazioni con cui lo hanno interpretato gli artisti Fluxus. Cinque i settori tematici mediante i quali i due curatori hanno presentato il loro percorso: Book as Book, as Memento, as Plot, as Box, as Object, con una grande ricchezza di materiali per ogni singolo settore, a rappresentare anche un “primo approfondimento sul libro d’artista in ambito Fluxus”. Partendo dal ‘libro generatore’di questa storia “An Anthology” , concepita da La Monte Young e Jackson Mac Low, design di George Maciunas, a cui si deve l’inconfondibile copertina. Il titolo completo del volume rappresenta bene gli intenti del movimento: An Anthology of Chance Operations, Concept Art, Anti-Art, Indeterminacy, Improvisation, Meaningless Work, Natural Disaster, Plans of Action, Stories, Diagrams, Music, Dance Constructions, Compositions, Mathematics, Poetry, Essays. Cinque settori tematici si diceva, ma non ci si aspetti una mostra di soli libri, pur nelle più diverse forme, non sarebbe coerente allo spirito ‘intermedia’ che caratterizza Fluxus. È semmai un percorso da vedere e da leggere, con installazioni, opere a parete (ad esempio l’intera partitura di Cage, oppure l’assemblage di televisori di Nam June Paik), ed un allestimento molto curato che rende bene la polivocità della ricerca Fluxus, per andare oltre a quella ‘gabbia’ tipografica costituita dalla straordinaria invenzione di Gutenberg. Perché è evidentemente verso, e non di rado contro, la particolare stabilità nel tempo del medium libro, nella sua serialità (prima e fondamentale applicazione della tecnica moderna, secondo McLuhan) che vanno le proposte non solo ‘lineari’ di Maciunas e compagni.

D’altronde forse non è inutile ricordare che The Gutenberg Galaxi: The Making of the Typographic Man è del 1962, e che il suo autore era un attento osservatore della sperimentazione non solo letteraria (si pensi alle note sul Joyce di Finnegans Wake, o a quelle sull’ideogramma, lungo una linea poundiana di rivalutazione del ‘non alfabetico’, che animerà, ad esempio, la ricerca dei Noigandres), ma appunto anche delle avanguardie storiche. Le sperimentazioni marinettiane, per Mc Luhan, erano sostanzialmente delle nuove modalità per rendere sulla superficie piana di un testo a stampa, la dinamicità e la tridimensionalità dell’esperienza vivente, e dunque foriere del passaggio dal libro alla cosa (box, object). Insomma, vi sono davvero più motivi per approfittare della mostra della Fondazione Bonotto. Nell’altra sede della Bevilacqua, a Palazzetto Tito, è invece ospitata una mostra dei giovani degli atelier che reinterpretano in modo originale spunti loro offerti dagli artisti Fluxus.
Riccardo Caldura

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