Roma, città eterna da fotografare

di - 12 Novembre 2016
Torna al museo Macro della Capitale, fino all’8 gennaio 2017, la quindicesima edizione di “Fotografia – Il Festival Internazionale di Roma”, curato da Marco Delogu e dedicato a “Roma, il mondo”. Non a caso, quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario della pubblicazione del primo volume di Viaggio in Italia di Goethe, una pietra miliare nella storia del Grand Tour. È un’eredità che offre un confronto tra passato e futuro, un dialogo tra innovazione e tradizione attraverso il quale gli autori contemporanei rappresentano Roma, città di contraddizioni, ognuno con il proprio linguaggio individuale.
Il Festival percorre le strade della capitale attraverso una grande mostra collettiva nella quale confluiscono le opere di quattordici autori delle edizioni passate della “Rome Commission”, istituita l rima volta tra il 2002 e il 2003 con Josef Koudelka, e prosegue con i lavori della commissione di quest’anno, affidata a Roger Ballen, Jon Rafman, Simon Roberts e Leo Rubinfien, che dal 6 dicembre esporranno al Macro il progetto “Wounded cities”. Inoltre il Festival presenta le mostre di altri autori che offrono un ulteriore punto di vista su Roma.

Koudelka comincia a lavorare nell’autunno del 2002 mettendo in scena un “Teatro del Tempo” con una Roma svuotata dei suoi abitanti, definita “scarnificata” dallo scrittore Erri de Luca, quand’essa è solo “un telaio spettrale” senza vita “raschiato come carne da uno scheletro”. Le fotografie di Koudelka, rigorosamente in bianco e nero come nel suo stile, trasportano in un mondo lontano, in una dimensione sospesa nel tempo. In netto contrasto alla città essenziale di Koudelka, osserviamo l’opera di Anders Petersen, nella quale presenze umane tornano a popolare Roma, e anzi, ne sono protagoniste. La capitale diventa un luogo organico, più intimo. Allo stesso tempo la fotografia di Petersen, pur ritrovando l’umano, porta con sé una personalità cupa e trasforma Roma evidenziandone un aspetto complesso e precario.
L’indagine di Gabriele Basilico si sviluppa lungo le sponde del fiume Tevere, un racconto che segue la corrente e che ritrae una Roma silenziosa, paradossalmente immobile, come fosse un affascinante dipinto dai colori sbiaditi e dalle nuances metalliche. Ritroviamo toni lividi anche nell’opera di Paolo Ventura, in bilico tra finzione e realtà, una “pittura d’ombre che erodono la luce” come recita la poesia “Un demone fotografico” di Paul Valery. Ventura immagina uno zuavo perso per la città, un soldato che vaga per ambienti spogli creando un effetto aberrante.

In questo alternarsi di scenari cittadini svuotati e poi ripopolati, Marco Delogu, che oltre ad essere curatore della mostra ne è anche uno dei fotografi, rende invece protagonista la luce romana, o meglio, l’assenza della luce. Così il giorno diventa notte e la notte si fa giorno, in una combinazione di eccessi di luce, dove tutto è inghiottito da un chiarore cieco, e di una “luce attesa” che rivela semplici apparizioni sul punto di sparire.
La grande mostra collettiva prosegue con “Sevla”, il reportage fotografico di Paolo Pellegrin. Il fotografo romano torna nella sua città e trova in una famiglia Rom ai margini di Roma un rifugio lontano da tutto, riscoprendo quei valori di condivisione, di accoglienza e rispetto che più si accostano alla sua visione del mondo.
Nel rappresentare Roma il fotografo statunitense Roger Ballen,  si ispira all’esperienza dei suoi ultimi 35 anni di vita passati a fotografare gli “shanties” delle periferie di Johannesburg, le baracche di lamiera abitate da coloro che spesso vengono marchiati come “freaks”. Ballen catapulta lo spettatore con violenza in un mondo inquietante ricostruendo una baracca bizzarra nella quale si può entrare. L’effetto disorienta, come se la baracca fosse stata sradicata dalla propria realtà e fosse improvvisamente caduta dal nulla nella grande sala del Macro. L’opera di Ballen evoca la contraddizione e proprio per questo può contenere sia Roma che Johannesburg. La messa in scena è integrata dalle sue fotografie, composizioni minacciose di figure antropomorfe e mascherate. Gli strani personaggi che compaiono nelle immagini di Ballen sono posti in ambienti dai muri disegnati con i gessetti, come nelle “shanties” sudafricane.  

Simon Roberts interpreta Roma in modo molto diverso attraverso le sue “Alternative Postcards” che crea sovrapponendo l’immagine di uno spazio di Roma con gli “snapshots” di chi lo abita. Roberts sperimenta e manipola l’esperienza di un turista in una città-cartolina. Fra le altre mostre del Festival spicca il progetto “Distruzione/Ricostruzione” di Daniele Molajoli e Flavio Scollo, una mappatura fotografica dei beni artistici danneggiati dal terremoto di Amatrice del 24 agosto scorso e che oggi andrebbe aggiornata a seguito delle ultime scosse. La mostra fotografica è finalizzata alla raccolta fondi per il restauro dei beni culturali. «L’idea nasce dalla volontà di ricostruire i monumenti distrutti», spiega Molajoli a Exibart. «Abbiamo voluto dividere le foto dei monumenti in diverse parti per poi ricomporle e dare il senso della ricostruzione».

Il Festival è l’occasione per rivolgere un nuovo sguardo su Roma, una città complessa, le cui stratificazioni sono temporali ma anche sociali e culturali, e permette di guardare la Capitale attraverso gli occhi del mondo e di viverne le diverse identità.

Stella Levantesi

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