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Come cambia la Videoarte. Piero Deggiovanni, selezionatore delle opere per il Festival Ibrida, ci dice la sua

di - 5 Maggio 2017
È il primo festival in Italia dedicato alle Arti Intermediali. Parliamo di Ibrida la rassegna a cura del duo di artisti Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, che in questi giorni porta a Forlì gli esiti più recenti e innovativi dell’audiovisivo contemporaneo prodotto nel Bel Paese.
Insieme dal 2011, Leoni & Mastrangelo hanno fatto dell’ibridazione il centro del proprio lavoro, mescolando il linguaggio del cinema, del teatro e dell’audiovisivo sperimentale per raccontare la complessità delle relazioni umane, nelle sue molteplici dimensioni sociali, dal rapporto di coppia, agli usi e costumi dei popoli, alle strumentalizzazioni ideologiche e religiose. Da questa loro ricerca, parte una stimolante riflessione sul ruolo della videoarte oggi, sulla sua capacità di rinnovarsi, contaminandosi con le altre arti come il teatro, il video, la performance. Nella sede della ex Fabbrica delle Candele sono previste due serate, oggi e domani, in cui video sperimentali si alterneranno a performance multimediali e concerti live. La selezione dei video in mostra, è affidata a Piero Deggiovanni, critico e docente di Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Bologna, per la parte italiana, e a Vanina Sarcino, curatrice indipendente di stanza a Berlino, che si occupa della sezione dedicata agli artisti internazionali.
Ed è a proprio a Deggiovanni che ci rivolgiamo per chiedergli qual è oggi la situazione della videoarte in Italia, «Nonostante tutto, possiamo dire che il video oggi sta vivendo un buon momento. Negli ultimi anni ho passato in rassegna l’opera di centinaia di artisti e di questi ne ho selezionati una trentina – di cui ne presento a Forlì diciassette, tra cui lavori di Cosimo Terlizzi, Marcantonio Lunardi, Francesca Lolli, Marco Bolognesi e Salvatore Insana, in cui sono evidenti i segni di un radicale cambiamento rispetto al passato. I videoartisti, quelli “puri”, con il tempo si sono dedicati ad altre forme espressive e in questo genere sono confluite esperienze totalmente diverse, come quelle di artisti che provengono dal teatro, dalla performance, dall’animazione. Ed è in questo modo che nasce l’ibridazione tra le arti, al centro di questo festival».
E qual è il tratto più evidente di questo cambiamento?
«Tra i più visibili, per esempio, c’è la dilatazione dei tempi di durata. Siamo passati dalla metafora tipica dell’espressività di ieri, dalla descrizione di ciò che si svolge in un attimo, alla allegoria, che ha invece bisogno di più tempo per raccontarsi. E questo è proprio un retaggio che proviene da altri linguaggi, come il teatro».
Un altro elemento interessante è che questo festival sia nato in provincia, in Romagna, invece che in un centro metropolitano come può essere Milano, Roma o la stessa Bologna che ha già un’attenzione al mezzo video con la rassegna VideoArt YearBook promossa dal Dipartimento di Arti Visive dell’Università – quest’anno prevista per il 25 maggio – o con il tuo Metacinema o ancora al performativo e l’intermediale con Lives Art Week, appena concluso. Una scelta mirata?
«Forlì vive un momento di effervescenza culturale in questi anni e non poteva mancare un’attenzione al contemporaneo, quello vero, che mi sembra arrivi per la prima volta in Romagna proprio grazie a Ibrida e all’impegno di Davide Mastrangelo e Francesca Leoni». (Leonardo Regano)
In home: Michael Najjar, Spacewalk, 2013
In alto: Leoni&Mastrangelo, Androgynous

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