Distinguendosi entro un contesto cittadino che sinora non
si è dimostrato particolarmente dinamico sul fronte degli omaggi al centenario
futurista – sebbene
Giovanni Papini avrebbe potuto costituire un ottimo inizio – il Mnaf ha
scelto di proporre una possibile ricostruzione del rapporto tra il medium
fotografico e l’avanguardia storica.
Tentativo per niente semplice, se consideriamo che su tale
argomento non esiste un corpus di studi così vasto e, soprattutto, che i due
estremi tra cui si evolse il discorso furono assai distanti: s’era ovvio che il
Futurismo, nel suo desiderio di rinnovamento culturale, si rivolgesse anche
alla fotografia, meno scontate furono le varie resistenze,
in primis quella di
Boccioni, che partendo dal pensiero
bergsoniano giunsero a condannare i nuovi mezzi di riproduzione meccanica come
inadatti alla creatività, al soggettivismo, alla resa dell’
élan vital.
Tale dicotomia, tra sperimentalismo intenso e
convincimento teorico mutevole, è quanto più caratterizza
Il Futurismo nella
Fotografia:
un’esposizione che si delinea come somma di intuizioni ed episodi,
ma che non
può né vuole tentare la ricomposizione di un’eventuale “scuola” fotografica
programmaticamente affiliata al movimento.
Piuttosto l’iniziativa mira a rilevare come anche in quest’ambito
delle arti visive il Futurismo, attraverso la miscela di anti-passatismo e
avanguardismo che ne fu propulsione e limite, realizzò vere anticipazioni
dell’avvenire: multiesposizione, fotoperformance, collage di stampe e disegni,
solo per citarne alcune.
Di conseguenza, anche i nomi in rassegna sono numerosi,
dai primi scatti fotodinamici dei fratelli
Bragaglia alla gestualità eclatante di
Depero, dalla femminilità felina di
Wulz
ai fotomontaggi
di
Pedrotti,
dallo zoom dinamizzato di
Masoero alle maschere di
Carmelich,
fino
a numerosi altri artisti.
Dunque, la proposta è una serie consistente di materiali
eterogenei, la cui traccia ideale è quella diagrammatica, con i singoli punti
della linea che corrispondono all’istante di contatto, per similarità,
comunanza, derivazione o altro, tra la corrente stessa e l’operato di fotografi
che non furono del tutto né soltanto futuristi. La funzione matematica che sta
alla base del grafismo, cioè l’ipotesi storiografica d’origine, è la ricerca
dello specialista – in questo caso, come già in passato, nel ruolo di curatore
– Giovanni Lista.
Il consiglio, data la specificità dell’evento e benché
esso non manchi di una godibilità istantanea, è di accompagnare la visione con
un minimo esercizio. Si rinverdisca prima la memoria sul Futurismo, e dopo si
rifletta su quanto visto alla luce del testo presente in catalogo.
Non è soltanto questione di celebrare in maniera attiva e
consona un’avanguardia che ci ha dato opere grandiose; fosse mai che nel
re-incontrare
Marinetti e il resto del gruppo scoprissimo innovazioni, per ottusa ideologia
restate nel tempo lettera morta, che ancora oggi ci sopravanzano.