Il grande pregio di questa mostra è il farci ragionare d’arte -cosa sempre più rara, specie nelle mostre “a tema”- sulla base delle opere, e non della personale e spesso inutile speculazione del curatore di turno. Che anzi -vedremo- qui restano anche troppo latenti ed impalpabili. L’oggetto è il ruolo dell’ombra nell’arte contemporanea, con una panoramica ampia, opere dagli anni ’50 ad oggi, mezzi che vanno dalla pittura alla scultura, dalla fotografia, all’installazione e al video.
Qual è la lezione che sul tema dell’ombra danno gli artisti contemporanei? Victor Stoichita, certamente lo studioso che ha maggiormente approfondito la questione, individua, nel Novecento, una linea in base alla quale, nell’adozione dell’ombra come elemento costruttivo, attivo nella creazione, Giorgio de Chirico passa le consegne direttamente ad Andy Warhol, con l’inevitabile mediazione di Marcel Duchamp. Riferendosi all’autoritratto di Warhol esposto anche a Siena (Shadow, 1981), Stoichita vi individua “un rapporto complesso con il doppio”, espresso dall’ombra di profilo sullo sfondo. “Questo rapporto non è del tipo, primario e vitalistico, che intrattiene il primitivo con la sua ombra; si tratta invece del rapporto teso e drammatico peculiare dell’individuo polimerizzato della postmodernità”. L’ombra come elemento di “polimerizzazione” warholiana, quindi come serialità, come doppio rispetto all’io: è questa dunque l’accezione di molta arte contemporanea, testimoniata da alcune delle opere in mostra. Dal citato autoritratto di Warhol, a My face behind Ecki’s face, straordinario gioco fotografico surreale di Urs Lüthi, all’installazione Misbah, di Mona Hatoum, dalla fotografia Petrolswing di Margherta Morgantin.
Altri filoni emergono con forza, come quello che vede la nozione dell’ombra legata al Surrealismo, come infingimento, espressione di un relativismo che ne fa specchio dell’inconscio,
In altri artisti -da Alberto Garutti a Francesca Woodman– questo approccio sfocia invece nella variante dell’ombra come “altro”, come presenza inquietante, quasi soprannaturale.
Ma in sostanza, qual è quella proposta? Per paradosso, quello che vantavamo come pregio diventa il limite di questa mostra, lasciandoci soli con le nostre considerazioni, senza nemmeno sussurrarci gli intendimenti di chi l’ha ordinata. Il saggio in catalogo di Lea Vergine offre infatti una colta ma superflua introduzione filosofico-letteraria, trascurando -se si esclude una brevissima postilla finale- qualsiasi riferimento alla mostra. Carenza a cui pone parzialmente rimedio il bravo Lorenzo Fusi, ma tuttavia non pregiudica gli indubbi meriti di questa mostra.
massimo mattioli
mostra visitata il 14 ottobre 2006
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