Singolare il procedere dei tre ragazzi terribili di Virginia Beach: Joe Grillo, Laura Grant e Billy Grant. Le loro mostre sono un concentrato di energia, coinvolgenti spettacoli psichedelici più vicini ad un concerto rock che ad una mostra d’arte, più un’irruzione sonica e cromatica che una silenziosa teoria di opere da ammirare. Che si tratti di lavori a due, quattro o sei mani, Dearraindrop è l’allegra e burrascosa convivenza di tre solisti. Che sembrano fare a gara a chi la spara più grossa. Nei lavori si riconoscono assoli e basi ritmiche, elementi ricorrenti tratti dall’universo pop (dalla pubblicità alla religione, dalla musica ai fumetti).
Così la cara-goccia-di-pioggia (DRD appunto) esonda nello show patavino, come uno tsunami mediatico, chiassoso e caotico, invadendo le pareti di forme, colori, reperti raccolti ovunque con indole accumulatrice, inondando il pavimento con immagini video che si accavallano e robot che traducono i colori in sonorità disturbanti e dissonanti. Dice bene il curatore Guido Bartorelli: i DRD sembrano aver praticato un foro nella rete di condutture nella quale si convoglia idealmente tutta la cultura mediatica odierna e che serve a dispensarla qua e là a misura.
Dal Magic Brain sprizza un blob indistinto, caotico e barbarico, impossibile da arginare, che si spande ovunque con forza sorgiva. Graffiti, collage, accumulazioni, dipinti e chi più ne ha più ne metta: la prassi dei DRD unisce il meccanismo futurista con l’ironia dadaista, per produrre una specie di novello Merzbau, con buona pace di Kurt Schwitters, nell’epoca della pervasività mediatica nel reale.
In fondo, altro non è che vita vissuta, enorme discarica nella quale si riciclano perennemente immagini e modelli di vita. I DRD come la modernità liquida nella civiltà dell’eccesso, dell’esubero, dello scarto, per dirla col sociologo del post-moderno Zygmunt Baumann. La mostra è corredata da un buon catalogo edito dalla galleria in collaborazione con Kavi Gupta, la galleria di Chicago che rappresenta gli artisti negli Stati Uniti.
La project room è invece tutta per la giovane peruvian-messicana Begoña Morales. The Power of the Smoke Hole: la calma apparente in attesa dell’onda d’urto. Già perché a prima vista le sue piccole sculture diafane in legno di balsa, collocate su bianchi piedistalli, sembrano preludere ad un serafico distacco dalla realtà. Ma ciò che si dispiega davanti è una silenziosa devastazione. Case squarciate, esplosioni domestiche provocate da chissà quale distruttiva calamità naturale, cristallizzate e sospese nell’atto deflagrante che precede la sparizione.
A veder bene, questa doppia personale piacerebbe forse a Paul Virilio che, partendo da Baudrillard, ha sostenuto recentemente, in un libro e in una mostra dal titolo Ce qui arrive, le ragioni della catastrofe e dell’incidente contro la spettacolarizzazione della realtà. Il suo Musée des accidents è il riscatto dell’imprevisto e dell’inatteso, dell’imperscrutabilità del futuro e del destino.
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Bellissima mostra!!
Avrei voluto essere all'inaugurazione.