È alla fine degli anni Settanta che in Slovenia emerge la consapevolezza di un nuova esigenza pittorica, che si sleghi dalla passata tradizione figurativa di regime. Da qui la pittura deve perdere alla svelta il proprio carattere narrativo e imitativo per iniziare una ricerca su sé stessa, in un certo senso autoreferenziale. E i pittori devono acquisire coscienza di quanto sia per loro impossibile descrivere in modo compiuto la sfera del reale. Il mezzo pittorico viene riscoperto in tutta la sua artificialità, con i limiti e le opportunità a cui questo porta. Se da un lato non potrà mai riprodurre la natura, dall’altro proprio grazie al suo carattere innaturale si presta a costruire scenari persino più suggestivi. Tale nuovo percorso artistico viene indicato –tra i vari termini adottati- come nuova pittura o pittura-pittura ed è stato presentato per la prima volta nel 1976 in una mostra a Lubiana, che ne evidenziava gli approcci mentali e concettuali.
I pionieri di questa –al tempo nuova- tendenza sono Tomo Podgornik ed Emerik Bernard, oggi protagonisti di uno studio del critico Andrej Medved da cui scaturisce la doppia personale alla A+A, allestita anche allo scopo di presentarli alla critica straniera, che deve ancora riconoscerne e confermarne i meriti.
Dei due il più conosciuto è sicuramente Bernard, definito da alcuni come la figura artistica principale nella Slovenia degli anni Ottanta. Le sue sono serie cromatiche orizzontali e verticali, simili a mappe, in cui si intrecciano dei segmenti lineari e basilari. Podgornik lavora, invece, in modo che i colori sulla tela creino una specie di tavola oscillatoria, senza un piano focale, senza una struttura, senza un centro e un intreccio, concentrandosi solo sulla presentazione delle gradazioni di colore.
L’effetto fa quasi idealmente immaginare ad un’espanzione dei livelli cromatici fuori dal bordo dell’opera. Insomma: schematico l’uno e quasi anarchico l’altro. Ad ogni modo, però, entrambi rientrano nella concezione di un’opera aperta che, nelle parole del critico Sergej Kapus “per tutto il tempo mantiene l’evidenza dell’incompiutezza e dell’imprevedibilità”. Si tratta quindi di opere quasi illusorie, in cui la pittura non è spiegabile secondo nessun modello e codice, se non la forza intrinseca della pittura, della pennellata, del colore. E in cui ogni tentativo di traduzione di linguaggio non può che essere una caduta in errore.
carolina lio
mostra visitata il 4 marzo 2006
[exibart]
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