Categorie: Libri ed editoria

libri_personaggi | Jena Clair

di - 1 Dicembre 2008
Qualche anno fa, Jean Clair dava alle stampe De Immundo. Un autentico pamphlet, nel senso d’uno scritto che richiamava per molti versi i moralisti d’antan. Con una posizione politica ben precisa, quella del conservatore – che per Clair è pure una professione – magari bacchettone, ma certo non passivo. Anzi, assai vigoroso nelle sue invettive, e parecchio provocatorio. Allora come adesso la domanda che con insistenza si riproponeva era ed è: “Si tratta di arte? ”. E sul banco degli imputati del tribunale clairiano c’era e sempre c’è, in una maniera o nell’altra, l’arte contemporanea. Magari soltanto per concorso di colpa, ma a difendersi è comunque certamente chiamata.
Al tempo si trattava di escluderla dall’umano consesso in quanto letteralmente immonda (Ungeheure), oltre che abietta (abjectum). Con tutto un corollario di esempi tratti da campionari di feci e urine e umori vari, vivi o morti non importa, come nei film western. Per risalire fino a Marcel Duchamp che, in quanto icona dell’avanguardia, si trovava candidato a portare su di sé il carico di sterco riservato da Clair all’arte dei nostri tempi. All’epoca dell’uscita del libro in Italia, scrivemmo diffusamente di quanto era taciuto (se non fattualmente errato) nell’argomentazione del caparbio francese: l’informe teorizzato da Rosalind Krauss e Yve-Alain Bois, il corpo proprio di Antonin Artaud, la cura in Michel Foucault, giusto per gettare nell’arena qualche nome e qualche concetto. Così come si segnalò la debolezza di certi sillogismi, e in particolare quello relativo alla presunta regressione della nostra società a uno stadio neonatale, quand’ancora il disgusto non è appreso. Un dato però resta nella mente del lettore di quel libello: l’accusa alla contemporaneità di esser giunta a una “condizione paranoica”.
Per giungere d’emblée alla conclusione, la paranoia pare tuttavia essere una prerogativa degli scritti, se non della persona, di Jean Clair. Si prenda il caso del Processo al surrealismo o, per citare il titolo delle pagine a lui ascrivibili, Del surrealismo considerato nei suoi rapporti con il totalitarismo e i tavolini medianici. Va senz’altro dato atto al critico francese di esser coraggioso e intellettualmente onesto quando pone sotto i riflettori dell’accusa André Breton e il Surrealismo. In Francia non è semplice fare un’operazione del genere; lo è assai più di quanto in Italia sia arduo discutere serenamente di Futurismo. È quindi benvenuta la disamina degli atteggiamenti impositivi, arbitrari, ambigui e quant’altro assunti da Breton (ne avevano già parlato a lungo i situazionisti e, ancor prima, gli appartenenti al Grand Jeu, per esempio, ma lasciam correre).
Quindi ben vengano le riflessioni sulla (in)coerenza politica e di pensiero del singolo e del gruppo, divisi se non lacerati tra fedeltà – peraltro non troppo entusiasticamente accolta – al Partito Comunista Francese e interesse per quei “tavolini medianici” che già avevano affascinato un altro laico padre della patria d’oltralpe, Victor Hugo. Ma da qui a dire che, in un turbinio di connessioni spazio-temporal-causali, i surrealisti e le avanguardie tutte sono la causa dell’11 settembre 2001, il passo è lungo. È a questo punto che comincia a riaffacciarsi il concetto di paranoia.
Ora, accoppiate quest’ultima sensazione di accerchiamento col sentimento che ormai tutto è perduto, o quasi, a causa di un’arte vomitevole, di un capitalismo sfrenato, di una cultura mercificata e della verdura che non ha più il sapore di quella d’una volta (quest’ultima considerazione non mi pare di averla letta nelle pagine di Jean Clair, ma penso che non mi smentirebbe). Risulterà divertente prendere in mano un suo titolo recente e prefigurarne il trattamento del soggetto. Non che ciò tolga il piacere della lettura o infici il lavoro dei nostri solerti editori, poiché Jean Clair è pur sempre persona di vasta cultura e intelletto acuto. Quindi, non foss’altro che per spiluccare le citazioni dotte inserite qui e là, merita sempre uno sforzo aprire questi volumi. Mettetelo e mettetevi alla prova con il Breve trattato delle sensazioni, e ci sentiamo di assicurarvi un buon pomeriggio, mentalmente sballottati fra un museo assai poco visitato e un esercizio pubblico senza dubbio di maggior (sex) appeal.
Almeno all’avviso di chi scrive, il miglior Jean Clair resta tuttavia non tanto quello che si erge a paladino para-guénoniano di un conservatorismo élitista (nella Crisi dei musei – libro edito in Italia da Skira – propone di fare una sorta di selezione all’ingresso dei musei, come nei locali del centro). Il miglior Jean Clair è quello che si concentra su un autore, su un artista, e ne scrive una critica. Certo, spesso si perde in infinite introduzioni e digressioni e conclusioni, e spuntano continuamente considerazioni d’ordine più generale, che ricadono nella melanconica categoria suddetta.
Ma le righe che si salvano dal naufragio dell’acrimonia un po’ patetica di quest’anziano bilioso – anzi, atrabiliare, com’egli stesso intitola il proprio Diario pubblicato da Gallimard – sono memorabili. Che si parli di Giacometti o Cartier-Bresson – nelle due monografie citate in calce – oppure di Louise Bourgeois o Francis Bacon, nella silloge Autoportrait au visage absent.

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Clair curatore

marco enrico giacomelli


I volumi segnalati
Jean Clair, De Immundo, Abscondita, Milano 2005, pp. 101, € 16
Jean Clair – Régis Debray, Processo al surrealismo, Fazi, Roma 2007, pp. 192, € 22,50
Jean Clair, Autoportrait au visage absent, Gallimard, Paris 2008, pp. 463, € 25
Jean Clair, Breve trattato delle sensazioni, Diabasis, Reggio Emilia 2008, pp. 160, € 14,50
Jean Clair, La crisi dei musei, Skira, Milano 2008, pp. 112, € 16
Jean Clair, Henri Cartier-Bresson, Abscondita, Milano 2008, pp. 77, € 12
Jean Clair, Journal atrabilaire, Gallimard, Paris 2008, pp. 225, € 5,80
Jean Clair, Il naso di Giacometti, Donzelli, Roma 2008, pp, 112, € 15,50

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 53. Te l’eri perso? Abbonati!

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