Categorie: Libri ed editoria

libri_saggi | Adesso l’architettura | (libri scheiwiller 2008)

di - 24 Novembre 2008
Che un pensiero come quello di Jacques Derrida, che va sotto il nome di decostruzione, si sia interconnesso a più riprese con l’architettura, pare fatale. E i motivi sono molteplici, come numerose sono state e restano le ambiguità.
Innanzitutto, il termine “decostruzione” rimanda immediatamente all’atto del costruire – in senso proprio o figurato – e il prefisso de- alla sua problematizzazione. Non si tratta infatti di di-struzione, di De-struktion, piuttosto dell’equivalente del tedesco Ab-bau. E ciò ch’è sottoposto a sollecitazione è la struttura stessa della metafisica, la sua architettura. Che non s’intende annichilire, bensì ripensare a partire dalle fondamenta, in un movimento sì complesso ma basilarmente “positivo”. In questo senso, è l’architettura stessa intesa come disciplina o “teleologia dell’abitare” – come scriveva qualche tempo fa Roberto Diodato – che la decostruzione interroga.
D’altro canto, l’interesse della filosofia nei confronti dell’architettura non è una novità. E se il primo pensiero, se non altro cronologico, va ad Aristotele, si può agevolmente scattare in avanti passando, fra molteplici stratificazioni metaforiche, dalla kantiana “architettonica della ragione” all’acme gotico individuato da Hegel, poi all’opposizione costruire/abitare proposta da Heidegger. E siamo a Derrida.

Prima però va accennato il côté architettonico, e la questione che si complica. Per semplicità, si è optato per definire decostruttivisti quegli architetti che hanno accolto in maniera feconda ma autonoma la riflessione derridiana. I nomi? Peter Eisenman e Zaha Hadid, Daniel Libeskind e Gordon Matta-Clark, Frank Gehry e Bernard Tschumi, Elia Zenghelis e Coop Himmelb(l)au, Rem Koolhaas e Dirk Coopman. L’elenco potrebbe continuare, pur tenendo presente le radicali differenze fra le singole ricezioni. E tali differenze sono emerse con forza nella mostra che segna l’apice del decostruttivismo, quella curata da Philiph Johnson nel 1988 al MoMA col titolo Deconstructive Architecture.
Torniamo a Derrida. Che da Bernard Tschumi era stato coinvolto per ideare, insieme a Peter Eisenman, un intervento nel parigino Parc de la Villette; intervento che rimase allo stadio progettuale o poco più. Da quell’esperienza nacque nel 1988 ChoraL Work, un libro atipico non solo per le sue pagine forate, ma anche perché raccoglieva in maniera volutamente disordinata materiali di lavoro e passi di convegni e presentazioni. Qualcosa di ben diverso da quanto propone il volume curato da Francesco Vitale, che riunisce in maniera cronologica buona parte degli scritti di Derrida afferenti l’architettura e i suoi confini (mancano Pourquoi Peter Eisenman écrit de si bons livres e Cinquante-deux aphorismes pour un avant-propos, che saranno compresi nel secondo volume di Psyché, in uscita per Jaca Book). Testi stimolanti, talora polemici, sempre generosi nel suscitare pensieri ulteriori.

Rimangono sullo sfondo tre motivi di rammarico: l’autore non avrebbe forse condiviso quest’operazione editoriale così architettonica; fatta salva la validità del detto “meglio tardi che mai”, il volume si sarebbe potuto dare alle stampe diversi anni fa, come il sottoscritto propose a un editore meno lungimirante di Scheiwiller (almeno la bibliografia che ho stilato e pubblicato per l’Università del Minnesota pare però esser stata utile a Vitale); il fiacco titolo del libro, Adesso l’architettura, è la traduzione del titolo di un articolo, Maintenant l’architecture, dove però la prima parola ha un significato ben più ricco, esplicitato da Derrida in Donner le temps I. La fausse monnaie.

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marco enrico giacomelli

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 53. Te l’eri perso? Abbonati!


Jacques Derrida – Adesso l’architettura
Libri Scheiwiller, Milano 2008
Pagg. 374, € 24
ISBN 9788876445682
Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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