Cosa succede quando l’arte contemporanea, stanca delle pareti dei musei, decide di avventurarsi fuori dagli spazi istituzionali, alla ricerca di una rinnovata libertà formale ed espressiva?
Il percorso avvincente dell’arte nello spazio pubblico è il fil rouge che unisce gli interventi di artisti, critici, curatori e galleristi, chiamati da Elisabetta Cristallini a interrogarsi su una questione più che mai attuale. È almeno dagli anni ’70, infatti, che l’arte tende a sconfinare, a insinuarsi in nuovi interstizi culturali, in luoghi “altri”, non deputati o d’elezione. Le strade, i marciapiedi, i giardini, ogni tipo di spazio pubblico diventa teatro per le oper-azioni creative degli artisti. L’arte è una pratica processuale aperta, che si ibrida con espressioni sociali e culturali legate ai differenti territori che di volta in volta incontra.
Non solo il territorio, ma anche il pubblico diviene elemento fondamentale per questa pratica artistica: l’arte fuori dal contesto museale deve infatti esser trovata, riconosciuta, contribuisce a “educare” la percezione degli spettatori contemporanei. Già
Debord e i situazionisti erano alla ricerca di un’interazione fra comportamento e spazio urbano. e intendevano l’ambiente in senso psico-fisico. Oggi, sempre di più, operazioni urbane come quelle di
Alfredo Jaar o
Rirkrit Tiravanija chiamano in causa quest’aspetto relazionale col pubblico.
L’arte fuori dal museo passa però anche da altri canali, che l’indagine di Elisabetta Cristallini non trascura: si tratta delle sperimentazioni legate al web, alla Computer Art e alla New Media Art. L’immagine elettronica, infatti, più di qualsiasi altro medium è riuscita a raffigurare uno spazio nuovo, senza confini, fluido e in movimento. Si situano in queste aperture virtuali i lavori di
Rafael Lozano-Hemmer, che racconta in un’intervista la genesi delle sue incredibili installazioni pubbliche.
L’intenzione di uscire fuori dal museo, oltre che nelle strade delle nostre metropoli, si manifesta anche nella natura e nell’ambiente. Dai giardini di
Niki de Saint-Phalle,
Daniel Spoerri e
Paul Wiedmer, fino a esperimenti recenti come il Pav di Torino, guidato da
Piero Gilardi, gli artisti mirano sempre più a ricostruire un dialogo ormai perso con la natura.
Pur essendo ancora piuttosto rari in Italia gli esempi di Public Art, è giusto fin da subito interrogarsi – come fa Roberto Pinto nel suo saggio – su chi sia il pubblico di questa forma d’arte: “
Chi stabilisce cosa è lecito o cosa è giusto porre alla pubblica attenzione?”, si chiede giustamente il critico. Il rischio è quello d’incappare in episodi di tensione, come nel caso dell’installazione di
Maurizio Cattelan a Milano, con alcuni “bambini” impiccati a un albero.
Il volume si chiude significativamente con l’intervista ad Antonio Presti, presidente della siciliana Fondazione Fiumara d’Arte, che denuncia senza mezzi termini il fallimento dell’arte pubblica in Italia, complice la politica dell’abuso edilizio e l’architettura asservita troppo spesso al potere.