A inizio dicembre, alla presentazione del libro alla Gam di Torino, a fianco del curatore sedevano Giorgio Griffa e Stefano Arienti. Il primo si concentrava con grande erudizione sulle dinamiche che hanno portato dalla rappresentazione all’operazione, il secondo affabulava con la storia della “Sala delle Assi” del Castello Sforzesco. Interventi estremamente interessanti, al punto che qualcuno si era spinto a equiparare il volume di Poli a quello di storia della filosofia curato da Rossi e Viano, per evidenziare un nuovo paradigma rispetto all’Argan da un lato, all’Abbagnano dall’altro. Pareva che il dato di maggior interesse riguardasse la pluralità delle voci in un progetto comune, voci specialistiche ma al contempo non tecniciste. Si disegnava lo scenario di una svolta nella manualistica universitaria e delle accademie, ma anche per addetti ai lavori nonché appassionati.
Perché non è così? La domanda ha una quantità imbarazzante di risposte. L’unica che non trova riscontro è l’abbaglio della casa editrice milanese e napoletana, proverbialmente attenta a non compiere passi falsi di questo genere. Specie se la prima cosa che salta agli occhi sono proprio le “sviste” a livello di editing, per esempio con didascalie spesso fuorvianti. Ma se questi aspetti possono innervosire “solo” i bibliofili, venendo ai contenuti le critiche sono più fondate.
Non potendo analizzare in dettaglio ogni saggio, segnaleremo alcuni sintomi. Aldilà dell’incomprensibile scelta di partire nuovamente dagli albori del contemporaneo, non potendo dunque per ragioni di spazio raggiungere realmente i nostri anni (l’articolo sull’Arte programmata firmato da Contessi parte addirittura da Chevreul, cioè dal 1839!); aldilà della mancanza di una voce armonica – la plurivocità non significa dissonanza frustrante, almeno per lo studente – e degli squilibri fra gli articoli. Aldilà di ciò e di molto altro, si trovamo saggi come quello sui Situazionisti della Bertolino, assai documentato, con ampie citazioni e spunti interesanti; e poco dopo, un saggio eloquentemente initolato Fotografia come arte, firmato da Marra, che nemmeno nomina John Hilliard. Chiaramente sono necessarie le selezioni, ma un manuale non è una sintesi di gusti personali, almeno in un’ottica didattica. Se poi si giunge alle Pratiche artistiche in rete di Mometti, sarà facile stizzirsi nel leggere la profetica intuizione d’esordio: “Internet è una rete di comunicazione telematica e orizzontale che avvolge il pianeta” (p. 350). Ringraziando dell’illuminazione, è il caso d’informare il giovane ricercatore che Internet è sempre meno orizzontale e non è affatto diffusa in tutto il pianeta, a meno che non si intenda con questo termine un segmento assai parziale dell’umanità.
Uno sguardo cade infine sulla breve biografia degli autori: sfidando ogni critica al campanilismo, il curatore ha invitato tredici contributors, di cui almeno cinque sono piemontesi e otto nel complesso hanno interessi spiccati per Torino e dintorni – si tratti dell’Accademia, del Castello di Rivoli, di gallerie o testate del luogo.
marco enrico giacomelli
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