Metafisica, mostra in corso presso le Scuderie del Quirinale di Roma, è dedicata alla poetica della “pittura metafisica”, che si dispiega nelle opere degli anni Dieci di Giorgio de Chirico e che riguarda, in veste di fiancheggiatori o di antagonisti, artisti come Ernst, Magritte, Savinio, Morandi, Sironi, Dalì e Tanguy. Tutti hanno subito il fascino di una dimensione altra, aperta dalla pittura e presto richiusasi dentro i superamenti affrettati che scandiscono la storia dell’arte.
Raccogliendo in catalogo il contributo di esperti di differenti discipline artistiche, Ester Coen, curatrice della mostra e del catalogo, sfoggia una volontà sperimentale che segue il filo rosso tracciato da de Chirico attraverso analisi inattese e affascinanti, come nel caso dei testi dell’archeologo Paul Zanker e del filosofo Félix Duque. Il primo pone in relazione la “tristezza delle statue”, veicoli di un malinconico senso del presagio, con l’esperienza biografica di de Chirico, il quale legge la classicità attraverso la Stimmung di un Arnold Böcklin ammirato nella giovanile permanenza a Monaco. Il secondo, nel saggio intitolato Costruzioni dello spirito, legge de Chirico alla luce della categoria romantica dell’ironia trascendentale, coniata da Fiedrich Schelgel per indicare la doppia negazione, della coscienza e del mondo, che il genio romantico opta per liberare l’attività infinita dello spirito, rappresentata da De Chirico, dalla forza e dalla insensatezza della natura. La rivelazione “dell’insensata bellezza della materia”, contrasta nel pittore italiano con la smania dell’origine. In Nietzsche l’artista scopre l’agghiacciante, ma liberatrice e vitale, insensatezza totale del cosmo, della nascita, della vita e della morte. Una scoperta che passa attraverso la pittura metafisica e qui si sedimenta.
In un discorso a più voci, che sonda il rapporto di de Chirico con le avanguardie, la cultura classica e le filosofie nichiliste, non mancano i contributi per una lettura dell’attualità della sua concezione spaziale, sostenuta da un architetto come Peter Eisenman; né mancano le narrazioni introspettive di uno scrittore come Tiziano Scarpa o l’approccio storico critico di Hans Belting.
Filo rosso che lega tutti i testi del libro è Il senso del presagio, scritto in cui de Chirico espone la propria poetica e spiega la “prova eterna del non-senso dell’universo”, il mistero della creazione e l’enigmatico senso che le cose assumono davanti al suo sguardo una volta che questo si sia straniato, come gli accadde un giorno a Firenze dopo una convalescenza irrisolta, che gli ispirò l’aurorale L’énigme de un après-midi d’automne. Opera in cui l’artista apre una dimensione interiore più profonda dell’inconscio: il senso metafisico per l’esistente. Ed è proprio per questo che, negli anni Dieci, prima di dar vita alla sua stessa maniera o alla sua autocitazione “barocca e violenta” (Félix Duque), gioca la metafisica contro il surrealismo, giocando la filosofia contro la psicoanalisi.
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