Categorie: Libri ed editoria

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di - 4 Settembre 2013
Le problematiche della nostra contemporaneità sono sotto gli occhi di tutti. Ci obbligano ad uno sguardo più attento, ad una riflessione più acuta sulla strutturazione dei rapporti sociali, sui linguaggi e i codici di comunicazione. Può essere utile soffermarsi non solo su quella dimensione antropologica che risponde alla teoria dei bisogni, ma anche a quella che risponde alla necessità del mutamento di tali rapporti. D’altronde si sa che è legittimo cambiare idea attorno alle cose, ai valori. Se non siamo noi a decidere, saranno le condizioni storiche e sociali a costringerci. Si pensi al tam tam dei temi eticamente sensibili. Gli uomini sono costretti a stabilire e modulare i parametri, essere creativi ed interpretativi di leggi e quanto altro.
Tutto ciò riguarda anche il mondo dell’arte, benché talvolta qui le cose sembrino complicate; almeno così appare ad uno sguardo superficiale, specie in questi ultimi tempi in cui ci si interroga sui mille volti dell’arte e se la si può fare con tutto e se può essere fatta da tutti.
Tornano in mente le stimolanti riflessioni di un dialogo tra Michael Hende e Joseph Beuys, il padre della scultura sociale, il quale ricordava che «laddove tutto è possibile nulla è possibile», riferendosi con molta probabilità, alla relazione intercorrente tra il concetto di limite e di libertà nella vita e nell’arte. Pertanto di fronte all’opera, e all’arte in generale, sorgono dubbi e domande. Ora pare proprio che la qualità della domanda occupi un posto di primaria importanza nel determinare il percorso di conoscenza che può compiere l’artista, il critico o il comune fruitore. Heidegger, nel 1956, scriveva in Che cos’è la filosofia? che il semplice “che” posto all’inizio, non è affatto semplice, poiché contiene già tutta la storia del pensiero occidentale a partire dai greci. Insomma, si riscontra già una inclinazione profonda insita nella domanda stessa, al pari dell’asse del nostro bel pianeta che determina le stagioni. Il «che cos’è – sosteneva il filosofo tedesco – è una domanda storica in cui è in gioco il nostro destino».

Forse, per l’arte, quando ci si interroga su “che cos’è”, bisognerebbe farlo con maggiore circospezione ed umiltà. E, tale, pare la tesi che va sostenendo Giovanni Ferrario, col suo recente saggio La sintesi spontanea. Venti domande semplici sull’arte contemporanea, uscito per i tipi di Postmedia.
Per cogliere l’elemento che l’autore ritiene essere l’essenza dell’attività artistica, vale a dire l’apertura di un nuovo punto di vista sulla complessità del reale, (bello l’esempio della foto trovata casualmente nascosta in un libro dove un gruppo di eschimesi lanciano in aria un uomo per fargli avere una visione più ampia dell’orizzonte) occorre coltivare alcune attitudini: e queste ultime non sono, ovviamente, una prerogativa dell’artista, ma estese anche a chi si apre ad una indagine critica sull’arte e che l’autore della Sintesi spontanea dichiara di essere la curiosità, l’incertezza, l’umiltà ed il coraggio. Nella nostra condizione, da taluni etichettata qualche tempo fa, come post-umana, risulta interessante questo invito, che si traduce in un esercizio spirituale da introdurre con urgenza nella dimensione quotidiana di un’arte contemporanea che sembra aver allargato a dismisura le maglie della sua rete.
Una esortazione discreta ma convinta, quella di Ferrario, con una consapevole riflessione rivolta alla tradizione, immaginata come una pianta rigogliosa, dalle radici ben salde nel terreno. Si entra nel processo creativo dell’arte e della critica, per sollecitare la coscienza con semplici domande e farla corrispondere all’atto creativo oggettivato, il quale richiede una grande capacità di osservare, criticare, conservare, ritrarre e raccontare. Quindi, sostiene Ferrario, nessuna improvvisazione fine a se stessa nel fare o nell’analizzare, piuttosto «c’è da superare una difficoltà della volontà. Come un chitarrista che dopo faticosi studi è arrivato a far scorrere con naturalezza le sue mani sulla tastiera». Si tratta di un’alacre attività spirituale che conduce l’artista – continua l’autore – a quella sintesi spontanea che sottostà ad ogni autentica opera d’arte, anche quella della critica. Come dire che un atteggiamento libero da schemi precostituiti e dalle pastoie di uno sterile positivismo può portare ad un buon raccolto, a cogliere il grado di suggestione e di mistero dell’immagine, a vederne il grado di fantasia e creatività che possiede o le sensazioni che suscita; ma anche a chiedersi quali sono le caratteristiche fisiche della forma, del colore, della durezza, del suono, ed anche la sua collocazione storica e culturale.
«Risulterà utile – precisa Ferrario, che è artista ed insegna Fenomenologia e critica d’arte presso l’Università Cattolica di Milano – allenarsi a saper scomporre con metodo ciò che di un’immagine viene percepito globalmente, a riconoscere autonomamente gli elementi costitutivi e di questi ultimi definire i caratteri qualitativi e quantitativi e la loro interrelazione senza dar nulla di definitivo. Dunque, ci poniamo nella condizione di chi dubita per tentare di descrivere il nostro oggetto di studio attraverso un sistema di domande aperto, analitico e generalista, basato sulla stratificazione dell’esperienza».
Quello di Ferrario è un invito a guardare al soggetto, all’opera e al suo processo, ad operare in noi stessi una sintesi, il risveglio di un istinto e di una sensibilità profonda, atta ad operare un nuovo punto di vista sulla complessità del reale. È la legge del mutamento, necessaria, purché organica allo sviluppo della coscienza.
Giovanni Ferrario
La sintesi spontanea. Venti domande semplici sull’arte contemporanea
Editore: Postmedia
Anno di pubblicazione: 2013
ISBN 9788874900916
Euro 9,90

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