Padiglione Italia, Biennale di Venezia
Spesso da pessime situazioni germinano ottime cose, così oggi, cancellata ogni mostra e fiera d’arte, rimandati a date da destinare spostamenti di opere antiche e moderne in terre lontane desiderose di conoscere lo stile italiano, si avrà tutto il tempo per riflettere, e perché no, affrontare la stupidità, il non senso, le trovate grottesche che marcano i territori dell’arte, sia essa antica, moderna o contemporanea. Per fare questo oltre alla nostra capacità di discernimento abbiamo a disposizione una nutrita bibliografia, di cui peraltro Contro le mostre di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione dà conto. Un libretto che ogni Direttore di museo, ogni critico, ogni storico dell’arte, perfino ogni dipendente o indipendente curatore che della grammatica e della sintassi della lingua italiana ignora l’esistenza…dovrebbe avere a portata di mano e di mente. Tomaso Montanari è studioso di storia dell’arte moderna e di beni culturali, e per le dinamiche del suo sguardo critico, sempre politico, sulla relazione tra mostre d’arte contemporanea e centri storici, voglio ricordare il suo (già) significativo intervento nel libro di Bruno Zanardi (restauratore e storico dell’arte), Giovanni Urbani. Per una archeologia del presente (2012).
Vincenzo Trione, contemporaneista che affronta e approfondisce tematiche nevralgiche del ‘900, conquistò nel sistema dell’arte una più ampia notorietà con la cura del Padiglione Italia ne La Biennale di Venezia del 2015. Contro le mostre fa luce sul meccanismo delle organizzazioni commerciali, sui curatori seriali, sui direttori di musei servi della politica e del mercato, su quella formidabile creatura del sistema dell’arte che è La Biennale di Venezia. Il libro è diviso in 6 capitoli, in cui gli Autori si alternano in controcanto per designare, per mezzo di un’omogenea metodologia critica, il vasto territorio problematico in cui si attesta, con rare eccezioni, un unico modello culturale e politico e una predominante modalità gestionale delle opere d’arte; siano esse antiche, moderne o contemporanee. ”È un vizio tutto italiano produrre mostre blockbuster. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: Caravaggio e Leonardo, gli impressionisti, Van Gogh, Picasso, Dalì e Warhol. Ne facciamo diecimila l’anno, ma dovremmo avere seri dubbi su questa sarabanda”. E anche ricordarci che fare a meno di mostre approssimative e inutili perché non sottese da alcuna ricerca storica e filologica “potrebbe aiutarci ad aprire gli occhi sul contesto vivo in cui l’arte acquista il suo vero senso: un contesto che, per noi, si chiama Italia. Per aprirci davvero alla conoscenza del Paese in cui abbiamo la fortuna di vivere, per rimettere in connessione passato e presente, per diventare cittadini, critici e liberi”. Per ricominciare a produrre mostre serie, riscoprire il territorio italiano e, aggiungo, riflettere sul corrente modello di “turismo”, ritenuto il sol dell’avvenire dalla politica e da una diffusa credenza pseudoculturale, nonostante le evidenti ricadute distruttive sulla mentalità, sull’ambiente e su secolari tessuti storici.
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