“Per me il dandy è un uomo che sfida il perbenismo della società nel modo di vestire, nel comportamento, nell’atteggiamento culturale e sociale…” (Yinka Shonibare).
Il PAC continua a comporre il mosaico di culture proponendo, dopo Chen Zen (cino-parigino), una mostra di un’artista nigeriano trapiantato a Londra, Yinka Shonibare. E non delude le aspettative del fruitore occidentale che visita l’esposizione di un artista vissuto nella “civile” Inghilterra, ma che riesce a esternare, nel proprio lavoro, le origini “terzomondiste”: il tessuto batik, simbolo del nazionalismo africano, con cui ricopre tutte le sue opere.
La scelta del tessuto africano è la risposta alle pressioni subite alla Scuola d’Arte a Londra, una pressione costante per produrre arte africana tradizionale, “ma – spiega Shonibare – per una persona con molteplici esperienze culturali come me, l’idea di una nozione pura di africanità non aveva senso. I batik mi sono sembrati una buona metafora per affrontare criticamente la collisione delle culture e la nozione di autenticità”.
L’autentico e il non autentico, l’ibridazione e l’identità culturale, sono i temi di riflessione che Shonibare sviluppa servendosi dei simboli estetici che i tessuti batik rappresentano, inscenando un teatrino straniante e “disobbediente”. Il consueto supporto pittorico, la tela bianca, è sostituito dai tessuti batik su cui dipingere; il
Direttamente dall’epoca vittoriana Girl/Boy (1998), il manichino vestito, nella parte superiore con abiti d’epoca maschili e in quella inferiore da abiti femminili, un’ambiguità sessuale e di identità che ritroviamo in Dad, Dad and Kinds (2000), un nucleo familiare, sempre di epoca vittoriana, composto da due padri. Lo straniamento continua con la famigliola di alieni ed ancora con gli astronauti domestici, in vacanza nello spazio, opera che allude al turismo culturale visto come nuova forma di colonialismo.
Sullo stesso spiazzamento visivo Shonibare ricostruisce un palcoscenico di opposti nel ciclo fotografico, Diary of a Victorian Dandy 11.00 Hours, 14.00 Hours, 19.00 Hours, 3.00 Hours (1998), liberamente ispirato al ciclo di William Hogarth e in The Swing (After Fragonard), spettacolare riproduzione tridimensionale del quadro del pittore francese Jean-Honorè Fragonard. Attraverso queste opere affronta criticamente il classicismo della società britannica, il suo rapporto con le minoranze e le altre culture e, attraverso il rovesciamento dei ruoli, sovverte le regole della pittura.
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