La prima mostra napoletana di Stefano Arienti, interrotta a causa del lockdown ma recentemente riaperta su appuntamento, va in scena negli spazi di Casamadre, la galleria di Eduardo Cicelyn, con sede a Palazzo Partanna, a Piazza dei Martiri, una delle storiche aree del contemporaneo a Napoli.
Nato ad Asola (MN) nel 1961, Arienti proviene da una famiglia contadina, la formazione dei primi anni è fortemente improntata allo stretto rapporto con la terra e la natura. Negli anni Ottanta decide di trasferirsi a Milano per studiare Agraria, che l’artista considera come uno dei pochi studi universitari enciclopedici e, allo stesso tempo, amplia i propri orizzonti culturali recependo i numerosi stimoli che la città gli offre. Potremmo dire che Arienti diventa artista per caso, grazie alla frequentazione di alcuni amici della facoltà di architettura con i quali occupa una vecchia fabbrica abbandonata, la Brown Boveri nel quartiere Isola, realizzando all’interno della struttura una serie di performance che in breve si trasformano in una vera e propria collettiva artistica.
Arienti stesso ammette: «Diventare artista è una carriera che si pratica con studi specifici e frequentazioni all’interno di un sistema definito Arte Contemporanea. Al contrario io ho avuto modo di scoprire l’arte contemporanea mentre realizzavo delle cose che venivano considerate tali. Mio malgrado, ho dovuto accettare questa investitura che mi veniva data senza peraltro averla cercata».
Uno dei maestri più importanti nel percorso artistico intrapreso a Milano è Corrado Levi, critico, artista, curatore, con il quale Arienti condivide un terreno di lavoro comune basato sul confronto sul dialogo, senza aggrapparsi a un’estetica generale. Arienti inizia a sperimentare partendo da riflessioni che spaziano dal mondo della biologia a quello della storia dell’arte, dall’amore per la natura al collezionismo, ai libri, alle enciclopedie che gli permettono di viaggiare pur restando fermo nello stesso luogo.
La prima personale è ospitata proprio nello studio di Levi, nel 1986, dove presenta al pubblico la serie di opere chiamate Alghe, lunghe strisce colorate, realizzate tagliando buste di plastica trovate in commercio e fatte penzolare dall’alto, mentre nel 1989, presso lo Studio Guenzani, realizza le Turbine, sculture composte da pagine di riviste e volumi piegate meticolosamente. Il comune denominatore di queste prime opere, che lo accompagnerà anche in futuro, è rappresentato dall’aspetto processuale della creazione e dai materiali utilizzati, attinti rigorosamente dalla realtà quotidiana.
Arienti è un artista che si definisce un manipolatore, un trasformatore piuttosto che un creatore e in tale prospettiva si devono leggere le opere presentate da Casamadre: fotografie scattate tra Napoli e Capri, a cui fa eccezione qualche paesaggio lombardo, sulle quali l’autore interviene direttamente. I lavori presentati a Napoli sono le sue Meridiane ma in una versione aggiornata o meglio adattata alla fotografia di grande formato. Le Meridiane rappresentano una ricerca portata avanti da sette anni e in continuo aggiornamento.
Nelle opere precedenti, Arienti tratteggiava la luce che attraversava le finestre della casa o dello studio di Milano utilizzando il pastello e la tempera e traducendo le variazioni luminose con colori diversi. Ora questi segni si sovrappongono al filtro meccanico della camera che cattura una natura che non è più la campagna delle origini, ma lo scorcio urbano restituito in una ricomposizione inedita in cui lo spazio e il tempo acquistano nuova vita.
La mostra di Stefano Arienti da Casamadre è visitabile su appuntamento, inviando una mail a info@lacasamadre.it.
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