Tutti conosciamo il famigerato test di Voight-Kampff. Era usato nel 2019 dai membri della sezione Blade Runner di Los Angeles per distinguere gli esseri umani dai nuovi modelli di replicanti Lexus 6. Ma non tutti sanno che la macchina che permetteva questo test, il Voight Comp Sketch 01 (e la versione 02) – un visore che elaborava la pressione capillare e il movimento oculare – è stata progettata dal visual futurist Syd Mead, morto il 30 dicembre nella sua casa di Pasadena, in California, all’età di 86 anni.
Nato nel 1933 a Saint Paul, Minnesota, Sydney Ray Mead ha iniziato ad amare il disegno e la fantascienza leggendo i fumetti sulle riviste pulp del padre (Flash Gordon, Buck Roger, John Carter of Mars). Nel giugno del ’59 si laureò all’ Art Center School di Los Angeles e da quel momento avrebbe trascorso metà della sua vita a disegnare tavole per il cinema e l’altra metà nel campo dell’industrial design.
Per i suoi lavori artistici ha sempre disegnato a mano, con una tavolozza di 12 colori: «Non c’è nessuna ragione al mondo per comprare il Cadmium Orange». Se si comincia un processo creativo in maniera troppo razionale, aggiungeva, «stai togliendo ogni opportunità alle coincidenze». A differenza del mouse e dei pixel, l’incontro tra la mano, il colore e la carta può abiurare alla mente e all’occhio del designer e produrre qualcosa di inaspettato.
Non c’è personalità al mondo che più di lui abbia influenzato non solo immaginari cinematografici ma anche la nostra stessa capacità di vedere mondi futuribili e remoti. Colori caldi, netti, naturali che, abbinati a un tratto leggero e sapiente, hanno creato in tutti i suoi lavori un’atmosfera potenziale, un’aura immaginativa più che uno spazialità dettagliata o un’oggettualità definita (qui una gallery di alcuni suoi lavori).
Oltre al celebre Blade Runner (1982) ha partecipato a tutte le più grandi produzioni di sci-fi contemporanee. Come conceptual artist nel rarefatto e geometrico Tron (1982), come visual artist ne L’anno del contatto (1984), Aliens – Scontro finale (1986), Corto Circuito (1986), Johnny Mnemonic (1995), Mission to Mars (2000), Elysium (2013), Tomorrowland (2015) e Blade Runner 2049 (2017).
Se Star Wars ma soprattutto 2001: a Space Odyssey avevo portato il senso dell’umano verso Jupiter and Beyond, lo sguardo di Mead sembra aver colonizzato gli spazi della vita quotidiana, i grappoli di palazzi, gli angoli delle città, i neon delle insegne, i night club, i camion di servizio, ambulanze, macchine, case, cucine, elettrodomestici, ombrelli. D’altronde veniva dal design industriale dove, grazie a collaborazioni decennali con Ford Motor Company Styling, Sony, Honda e Philips Electronics, ebbe modo di disegnare di tutto. Oggettistica, macchinari, aerei, perfino navi. Si è occupato di cataloghi di numerose aziende (Celanese, Allis-Chalmers, Atlas Cement) tra cui le tavole delle US Steel Series, che ispireranno non solo George Lucas per i famosi AT-AT di Star Wars ma anche le linee di acciaio laminato del nuovissimo Tesla Cybertruck di Elon Musk.
«La tecnologia si muove così rapidamente che ormai la fantascienza – relegata a gioco/conflitto politico e sociale – la puoi comprare su Best Buy». Mead più di tutti ci ha mostrato come il Futuro provenga dalla materia, dal nostro tatto, dall’uso di idee e cose familiari. Sapere “how to do” il presente è la base per “sintetizzare” cosa faremo, dunque, cosa saremo. E il design, lingua universale e in evoluzione costante, ne è il gradiente centrale.
Possiamo così cogliere anche il testamento politico ed ecologico del pensiero tecnico di Syd Mead. Per l’artista di Pasadena, finché non vi sarà consapevolezza e apprezzamento di vivere una realtà comune, lo «spreco di energia sociale e del potenziale dell’intelligenza» non avrà mai fine. Un pensiero che, questo sì, ricorda la bellezza e il silenzio di una città volante avvolta da luce e nuvole.
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