Può il reale fondarsi su un’unica verità? Fino alla fine di giugno l’associazione Alchemilla ospita nella sua sede di Palazzo Vizzani “Fuori Terra”, mostra personale di Mattia Pajè. L’esposizione, curata da Giovanni Rendina, promossa da Istituzione Bologna Musei e parte del Main program di Art City, è frutto del lavoro di sperimentazione dell’artista avvenuto negli ultimi due anni, in dialogo con le sale suggestive del palazzo. Il gruppo scultoreo eterogeneo che abita le stanze di Alchemilla crea una realtà altra, magica e straniante, dove l’estetica new age e quella della televisione commerciale si intrecciano in una continua tensione comunicativa.
Ampie isole di argilla sottile e cruda occupano il pavimento: è da qui che emergono i nuclei installativi letteralmente Fuori Terra, trasformando l’intero spazio in una superficie lunare popolata da presenze varie e misteriose. Disseminati come comparse, tutti gli oggetti scelti e posizionati da Pajè sono indizi dei tanti regimi di verità che compongono l’apparente uniformità del reale: nelle sale si accostano così figure umanoidi e aliene, strumenti ispirati alle teorie pseudoscientifiche e parti di scenografie giunte direttamente dagli archivi televisivi. Scienza, spiritualismo, intrattenimento: in bilico tra possibili verità e possibili finzioni, tutte queste realtà – indagate come alfabeti visivi – sono state alla base sia dell’esperienza personale di Pajè che della sua ricerca artistica. E parlano di noi più di quanto l’atmosfera enigmatica della mostra lasci intravedere. Fuori Terra, in effetti, si presenta come un mondo apparentemente caotico e incomprensibile nonostante attinga da un immaginario che ci appartiene: non troppo distante da ciò che già accade nella dimensione del sogno. Per certi versi, percorrere l’esposizione vuol dire muoversi all’interno di un sogno lucido condiviso: in questo tipo di esperienza, pur sapendo di non essere svegli, è possibile esplorare e influenzare la narrazione onirica.
Esattamente allo stesso modo, nei paesaggi visionari di “Fuori Terra” lo spettatore si relaziona con un agglomerato di amuleti, cartonati e sculture pur restando libero di tracciare connessioni e modificarne i significati. Questo margine d’interpretazione è favorito poi dalla forma delle installazioni, ispirata al diorama: ambientando le scene in scala ridotta, si è tentati dall’entrarci, dal prenderne parte assecondando il gioco di macro e micro degli oggetti. Attraverso questi episodi surreali, Pajè riscrive una sorta di mitologia contemporanea, fatta a immagine e somiglianza di quella matassa intricata di visioni con cui scendiamo a patti ogni giorno.
Mai chiaramente come durante la pandemia ci è stato possibile vedere quanta soggettività si nasconda nei tentativi dell’uomo di comprendere e raccontare la realtà, che si tratti di narrazioni mediatiche, social, scientifiche o complottiste. Nata da questa chiara consapevolezza – e dai disegni realizzati non a caso durante i mesi di isolamento – Fuori Terra non poteva che scegliere di parlarci solo di porzioni di mondi possibili, evidentemente temporanee e del tutto fittizie, eppure non meno concrete di quelle che crediamo oggettive. In qualche modo, dopotutto, ognuno racconta sempre e comunque la propria verità.
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