Spazio, capitalismo e tempo interiore: Dora Budor

di - 30 Ottobre 2022

Quanto l’arte si confronta con l’architettura e in particolare con la struttura del quattrocentesco Monastero delle Dimesse e delle Servite che ospita la Galleria d’Arte Moderna e contemporanea di Bergamo, “cantiere” di mostre progettato da Vittorio Gregotti, allora nascono riflessioni sul ruolo dell’arte, certamente effimera ma necessaria per ripensare la percezione dello spazio e dell’opera.
A confonderci le idee ci pensa Dora Budor (Zagabria, 1984) con la sua prima mostra personale intitolata “Incontinent” allestita nello Spazio Zero della GAMeC, a cura di Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni, concepita in relazione alla mostra “Continent” presentata al Kunsthaus Bregenz (marzo 2022).

Dora Budor, Incontinent alla GAMeC di Bergamo, ph. Antonio Maniscalco

L’artista croata per questa sede ha realizzato tre sezioni di un tunnel, chiamato tecnicamente diaframma, che circonda le fondamenta sotterranee del museo austriaco. Il diaframma serve per prevenire il crollo degli edifici adiacenti ed espellere le infiltrazioni d’acqua dal terreno alluvionale su cui è edificato il museo. Un enorme calco della parete esterna realizzato con lattice da conservazione che ha rimosso i residui sulla superficie si estende sulle pareti esterne dei Kollektorgang, mentre gli altri due sono in mostra nella mostra a Bergamo con l’obiettivo di creare un intreccio metaforico di canali e corridoi. Questo calco negativo fa una certa impressione e invita lo spettatore a percorre dentro e fuori il tunnel, in cui anche la pittura del pavimento prosegue sulle pareti fino all’altezza delle sculture, creando l’illusione di uno sprofondamento della sala del terreno. Per Dora Budor i materiali sono l’essenza della sua ricerca, tant’è che per la ricostruzione delle forme scultoree simili a pareti, ha prodotto del cemento misto a carta a partire da documenti tritati scartati da alcuni uffici della città. Attraversando questi metaforici corridoi dentro uno spazio enigmatico, noterete convergenze architettura e opera in un metaforico corridoio di relazioni spaziali e concettuali. Più di tutto il resto, ha un effetto distopico una installazione sonora realizzata con Sex toys controllati da remoto, che producono un suono fastidioso diffuso nello Spazio Zero. Si intitola Termites (2022), e i giocattoli sessuali telecomandati sono collocati all’interno dei condotti di ventilazione che pulsano contro le superfici metalliche degli stessi, sicché rumore e immissione di aria fresca divengono un tutt’uno: una infestazione sonora vera e propria che minaccia l’integrità dello spazio e i timpani del visitatore.
Love Streem (2022), è l’ultima opera di Dora Budor, esposta nel corridoio del museo irrorato dalla luce grandi finestre: una serie di frottage automatici che sarebbero piaciuti a Max Ernst, realizzati con carta vetrata strofinata sul pavimento e sulle pareti dello studio di Budor sotto l’effetto dell’escitalopram, un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI), prescritto dal medico. Le sue opere antidepressive sono impronte al negativo di una serie tutt’ora in corso realizzata durante i momenti di pausa, dopo il lavoro o di notte, e rappresentano un tentativo per recuperare uno spazio e un tempo interiore, oltre la caotica realtà contemporanee inghiottita dal capitalismo estetico.

Dora Budor, Love Streams, 2022, Installation view, Continent, third floor Kunsthaus Bregenz, 2022, Photo: Markus Tretter, Courtesy of the artist, © Dora Budor, Kunsthaus Bregenz

Alla GAMeC c’è tanto da vedere oltre al nuovo allestimento della “Collezione Impermanete#3.0” per conoscere la complessità del contemporaneo, e in concomitanza alla mostra di Dora Budor che coincide con l’apertura del ciclo espositivo del museo, non perdetevi il video selezionato dalle curatrici Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni del collettivo Flatform con l’opera Quello che verrà e solo una promessa (That which is to come is just a promise), del 2019. Con video GAMeC prosegue la partecipazione al network dedicato alla video arte ARTIST’FILM INTERNATIONAL –XIV EDIZIONE, un iniziativa nata nel 2008 della Whitechapel Gallery di Londra, tra le più importanti istituzioni d’arte contemporanea internazionali. L’argomento dell’edizione di quest’anno è il clima, e nel cortometraggio di Flatform girato a Tuvalu, un microscopico stato in mezzo all’Oceano Pacifico tutto è paradossalmente sospeso, lacerato a causa del cambiamento climatico, un lembo di terra destinata a sparire per effetto del surriscaldamento del mare, infatti l’acqua salata risale dal sottosuolo e mette a rischio il futuro della vita sull’isola, che presto non ci sarà più. Non andate via subito, state lì e guardatevi Quantum (2015), un altro video del collettivo di Flatform, girato in un borgo nel Monferrato, che sembra un presepio incastonato nelle montagne piemontesi. Le riprese si giocano su fasci luminosi emessi da riflettori che si accendono improvvisamente sul paesaggio e sulla banda cittadina, inquadrando dettagli diversi della stessa scena. In questo scenario in bilico tra realtà e finzione, lo spettatore sulle note di Nessun Dorma di Puccini in versione strumentale, resta sospeso tra visione e suono di una incantevole realtà spaesante.

Flatform, Quello che verrà è solo una promessa (That which is to come is just a promise), 2019, Digital video, 2K, 22 mins, Courtesy Flatform

Anche il video Momenti di un tempo impossibile (2011), sempre di Flatform – fondato nel 2006 con sede a Milano e Berlino – va ascoltato per entrare dentro una dimensione incantevole e poetica. È un unico piano sequenza che presenta una irreale commistione di pioggia, vento, neve e nebbia, effetti atmosferici che si abbattono su differenti porzioni di un roccolo abbandonato. Restate attenti e noterete che i quattro strumenti musicali che eseguono il primo movimento del Quartetto in Fa maggiore di Maurice Ravel diventano ciascuno la traccia audio corrispondente a ogni singolo agente atmosferico. Di fronte a questi paesaggi atmosferici il suono di violino sgocciola come la pioggia, il secondo violino si ovatta come la neve, il suono della viola si muove come il vento, mentre quello del violoncello riverbera come la nebbia. Così tra aria, acqua, aria, musica e luce qui tutto e calma e armonia.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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