Tre mostre di pittura a Venezia: Kehinde Wiley, Mary Weatherford, Anselm Kiefer

di - 22 Aprile 2022

affascinanti e non c’è da stupirsi se proprio qui la storia della pittura abbia intrapreso alcune delle svolte più significative. A partire dallo sviluppo del telero, cioè quella tecnica che prevedeva l’utilizzo di tele di vaste proporzioni applicate direttamente a parete e dipinte con colori ad olio, per contrastare il degrado al quale era soggetto l’affresco, a causa dell’umidità della Laguna. Che non fa bene all’intonaco ma nemmeno alle ossa, quindi meglio evitare di stare troppo in giro tra sestieri e rimanere all’asciutto, magari in qualche spazio espositivo ben riscaldato per vedere alcune delle declinazioni più attuali ed eterogenee della pittura, il linguaggio dell’arte per eccellenza, il più ampio in assoluto, in grado di ritrarre un volto con precisione mimetica oppure di sfumare un profilo fino al limite della forma umanamente riconoscibile: ecco tre mostre da non perdere.

Kehinde Wiley, An Archaeology of Silence

Curata da Christophe Leribault, inserita tra gli eventi collaterali della 59ma Biennale d’Arte di Venezia, organizzata dal Musée d’Orsay con il supporto della galleria TEMPLON, “An Archaeology of Silence” è la mostra di Kehinde Wiley in esposizione alla Fondazione Giorgio Cini, all’isola di San Giorgio Maggiore. Nato a Los Angeles nel 1977, da padre nigeriano e madre afroamericana, fin da piccolo ha sempre mostrato interesse per l’arte, incoraggiato anche dalla madre. Famoso per i suoi ritratti realistici ma anche densamente simbolici – come del resto è nella natura stessa di questo fortunatissimo genere senza tempo –, nell’ottobre 2017 è stato incaricato di ritrarre Barack Obama per la Smithsonian National Gallery of Portraits, il museo di Washington dove sono conservati i ritratti ufficiali dei presidenti statunitensi.

Per la mostra alla Fondazione Cini, Wiley presenta un nuovo corpus di lavori, per mettere in luce la brutalità del passato coloniale, sia statunitense che globale, riflettendo sul tipo figurativo dell’eroe caduto. In esposizione, una serie di dipinti e sculture monumentali inediti, ampliando il suo corpus di opere “DOWN”, del 2008. L’ispirazione è riferibile alla grande pittura e, nello specifico, al Corpo di Cristo morto nella tomba, capolavoro realizzato nel 1521 da Hans Holbein il Giovane, attualmente conservato al Kunstmuseum di Basilea, ammirato per la crudezza del suo realismo e interpretato da Wiley come un ritratto di un guerriero caduto. Riconcettualizzando pose e atteggiamenti classici, Wiley ci mostra l’atrocità di certe forme contemporanee di sopraffazione e brutalità, riflesse sul corpo e nel corpo: «Questa è l’archeologia che sto portando alla luce: lo spettro della violenza della polizia e del controllo dello stato sui corpi di giovani neri in tutto il mondo».

Mary Weatherford, The Flaying of Marsyas

Ancora alla grande storia della pittura guarda Mary Weatherford, che al Museo di Palazzo Grimani presenta “The Flaying of Marsyas”, una nuova serie di dipinti realizzati tra gennaio e marzo 2021 e ispirati alla Punizione di Marsia di Tiziano, conservato nel Museo Arcivescovile di Kromeriz, nella Repubblica Ceca. Questa volta però la violenza del soggetto – il dio Apollo che scuoia il satiro Marsia dopo aver vinto una sfida di canto e musica – è sfumata appunto dalla mitologia.

Così, nelle opere di Weatherford, le trame oscure e filiformi delle campiture e delle macchie di colore, ispirate alla tavolozza del grande maestro veneziano e che sembrano nascondere l’urlo di sagome sofferenti, vengono illuminate da una luce artificiale. L’artista nata nel 1963 a Ojai, in California, infatti, dal 2012 ha iniziato a inserire tubi neon direttamente sulle sue opere, per illuminarne la superficie ma anche per giocare le ombre che si creano in certe zone della rappresentazione. Anche in questo caso, uno spunto concettuale ripreso dalla sapienza tecnica: per restituire l’effetto della tela antica, Weatherford applica su lino pesante strati di emulsione vinilica Flashe.

Anselm Kiefer, Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo)

Per celebrare i 1600 anni dalla fondazione di Venezia, non poteva esserci artista più adatto di Anselm Kiefer: a cura di Gabriella Belli e Janne Sirén, la mostra a Palazzo Ducale è uno degli appuntamenti da non perdere per provare l’ebbrezza – ormai sempre più rara nell’arte contemporanea – di un vero effetto wow. Piaccia per la sua spropositata carica materica e visiva, per quella potenza un po’ sadica ma pienamente in controllo che sembra torcere il limite della pittura, o non piaccia per gli stessi, identici motivi, l’arte di Kiefer rappresenta un momento di non ritorno, più che di arrivo.

Entrare in un ambiente sovraccarico come quello della Sala dello Scrutinio, in confronto con le 33 tele monumentali del soffitto e con la cornucopia di apparati decorativi che ancora emanano la potenza della Serenissima, sarebbe una impresa impossibile per qualunque artista contemporaneo vivente. Ma non per Kiefer che, con il suo ciclo di enormi dipinti creati appositamente per questo progetto nel corso del 2020 e 2021, riesce a misurare la capacità espressiva dell’architettura di Palazzo Ducale e della sua enorme storia, con impeto monumentale e spiccatamente mitteleuropeo di una pittura che, ormai, non riguarda più l’atto del dipingere ma quello dell’irrompere. D’altra parte, Gesamtkunstwerk, l’arte totale, che circonda e coinvolge sensi e spazi, è un mito sempre attivo.

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