E la “vita nova” inizia

di - 20 Maggio 2013

Incipit Vita Nova: così recitano le due scritte luminescenti poste fino a domenica scorsa sulla sommità della Fortezza Nuova, a Livorno. Visibili dalla strada, al di là dei fossati che abbracciano la fortezza come parentesi. Una vita rinnovata, quella che si augura, con parole prese in prestito da Dante Alighieri, alla Sala degli Archi, uno dei tanti sorprendenti spazi interni della Fortezza.
Sala rivisitata da Vittorio Corsini, aperta al pubblico per questo intervento a cura di Alessandra Poggianti. Un luogo destinato alle arti visive, prima tappa di un restauro complessivo che, ci si augura, restituirà presto alla città uno dei suoi monumenti più belli e alla comunità un luogo vitale di attività e di confronto culturale.
L’opera di Corsini per Livorno si colloca in una lunga serie di interventi pubblici appositamente pensati per i luoghi: in Toscana sono permanenti le opere realizzate a Peccioli in vari anni (nell’abergo cittadino e in paese), a Quarrata con una fontana trasparente, a Luicciana, a Poggibonsi, a Pontassieve. Interventi che aspirano a favorire una percezione più attenta e sensibile del quotidiano.

Le opere pubbliche di Corsini sono molto spesso caratterizzate dalla necessità di proporre luoghi di meditazione, di incontro e di relazione – non a caso spesso l’artista ricorre all’uso del linguaggio, occupandogli spazi con parole – dove la forma corrisponde alla volontà di suggerire modalità e pratiche nuove di relazione. La novità coincide frequentemente con l’osservazione delle relazioni in una comunità attraverso abitudini e movimenti che si svolgono nel contesto urbano. È dunque, quella di Corsini, una pratica del ripercorrere la memoria dei gesti quotidiani, i segni della ritualità collettiva e dei comportamenti sociali all’interno di comunità, del nostro stare in un contesto sociale e socializzante. Ma è, allo stesso tempo, la dichiarazione della difficoltà di coniugare la dimensione personale con quella collettiva e di rappresentare i luoghi dell’individualità: in primis l’ambiente domestico, ma anche quelli di culto o urbani.

Alle due scritte esterne fa da contrappunto, all’interno della Fortezza, l’intervento pensato dall’artista per l’ampia sala a tre navate coperta da volte. Il pavimento è stato interamente nascosto con tappeti di segatura colorata (materiale e procedimento più volte utilizzati da Corsini a partire dal 2002, e che si chiama pula) a includere, dentro una grande cornice scura, le bandiere di 19 Paesi del mondo. Leggibili nel loro disegno per circa un’ora dall’apertura, sono state progressivamente cancellate dal passaggio delle persone, modificate dalla curiosità della gente, ridisegnate da chi ha voluto aggiungere e trasformare (bambini e adulti insieme): una metamorfosi che si è conclusa il 19 maggio, data di fine della mostra.
La segatura colorata che viene utilizzata per i tappeti, ha sostituito i petali che, in molte manifestazioni, decoravano il tragitto delle processioni sacre, e trova nel contesto urbano i propri percorsi. Il lungo lavoro è sempre destinato ad essere spazzato via in un arco brevissimo di tempo. Un’eco dell’aspetto celebrativo a cui rimandano materiali e tecnica. I tappeti di Corsini sono stati realizzati in tempi lunghi, hanno vita breve e si trasformano per molto tempo.
Una metamorfosi di soggetto e di oggetto, materiale e simbolica: bandiere come segni effimeri che, da segno dell’identità e dell’appartenenza di un popolo ad uno Stato, migrano verso territori fluidi, cangianti per la volontà e l’intenzione di chi sopra il tappeto cammina. Che definisce lo spazio attraverso le relazioni che rimangono impresse nella pratica di cancellazione: una sorta di vocabolario dei gesti e dei comportamenti che segnano, accumulano, mischiano, si attardano. E che trasformano il cuore del fortilizio in uno spazio degli attraversamenti, dove si modifica la percezione della Fortezza chiusa e riparata, affacciata sui fossi e sulla città.
Una città, tuttavia, di mare, da sempre predisposta all’accoglienza e allo scambio. Apparentemente abituata a processi globali in virtù della sua caratteristica mercantile. Eppure quelle bandiere, prima spaginate, squadernate in piano, e poi progressivamente cancellate, sembrano invitarci a riflettere su quanto tutto ciò non sia letteratura e stereotipo. Se la “vita nova” necessiti di azioni rigenerative, complesse e sincere che ridisegnino i riti, indizio e specchio delle pratiche sociali, per trasferire la teoria nella pratica, la letteratura e l’arte nella vita.

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