La linea del paesaggio si estende oltre il respiro, oltre lo sguardo lasciato vagare sulla superficie, lungo l’orizzonte sconfinato che porta con sé il ricordo di uno spazio e di un tempo lontano, di un vissuto trattenuto nell’istante perduto del fluire e tracciato dall’occhio fotografico come baluginare onirico di territori affettivi, solcati da un sentire nostalgico. Il progetto fotografico e installativo “Amate terre” di Anna Rosati, con montaggio video di Agnese Mattanò, ideato per l’antica Chiesa di S. Maria e S. Valentino della Grada, a cura di Azzurra Immediato in collaborazione con la Parrocchia Samac, emerge dall’ombra di memorie portando l’eco dei racconti paterni, l’apparizione di un passato che si staglia sul fondo del presente fondendo forme e simboli in una dissoluzione elegiaca del confine spaziotemporale.
La fotografia arriva in profondità radicali attraversando risonanze territoriali, trovando e ritrovando luoghi, portando, come scriveva Roland Barthes ne “La camera chiara”, verso un desiderio fantasmatico nato: «Da una sorta di veggenza che sembra portarmi avanti, verso un tempo utopico, o riportarmi indietro, non so verso quale regione di me stesso», una regione sospesa che le opere di Anna Rosati catturano in attimi reminiscenti, in frammenti di una narrazione consonante ed emozionale.
Poste a terra e illuminate dal passaggio dell’osservatore, le immagini fotografiche si svelano come sostrato atavico, percorso sognato e sognante, epidermide temporale e brano di luce che apre un varco contemplativo e riflessivo di ordine metafisico, unendo le distanze tra passato e presente, tra spazio conosciuto e luogo ignoto dai toni familiari.
Tra tracce di terreno smosse dall’aratro o linee dei panneggi di un interno, la poetica dell’artista conduce verso la sorpresa e la scoperta di forme, di esteticità mistiche, di esistenzialità geografiche, di nude terre dalla corporeità plurale e mutevole che dialogano con un cielo fuggevole, inafferrabile ed enigmatico, con una energia percettiva data dall’esperienza e riattivata da un rifluire di immagini dalla dimensione mnestica.
Nella vibrazione corrispondente riconosciuta tra l’immagine paesaggistica e la ritmica degli interni con una memoria filiare, l’appartenenza e il rispecchiamento nella natura e nelle mura domestiche divengono volti e materialità di uno spazio intersecante la realtà oggettiva, unione tra vento e sospiro ampliati in epifanie agresti, in gradazioni perlacee filtrate da tendaggi.
Le immagini si ricompongono nel movimento andando oltre la soglia e l’orizzonte di dualità tra cielo e terra, oltre la simbologia ancestrale, componendo una congiunzione armonica tra unità e totalità.
La mostra “Amate terre”, parte della undicesima edizione di ART CITY BOLOGNA, è un cammino sensibile e percettivo attraverso strati immaginali sovrapposti che racchiudono un rapporto affettivo profondamente originario, struggentemente perduto e ritrovato nell’amore per la terra, per la linearità di contorni e superfici, per ciò che permane e rimane privato, segreto condiviso tra paternità e filiazione.
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