Categorie: Fotografia

Vivian Maier, a Monza la maxi mostra sulla pioniera della street photography

di - 7 Dicembre 2024

Fino al 26 gennaio 2025 il Belvedere della Villa Reale di Monza ospita Unseen. Le Foto Mai Viste di Vivian Maier, la mostra realizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma Photography, a cura di Anne Morin. L’esposizione è la più grande mai dedicata in Italia alla donna pioniera della street photography, con un corpus di opere che comprende 220 stampe in bianco e nero e a colori, oltre a provini a contatto, registrazioni audio originali e diversi filmati Super 8, visibili oggi per la prima volta.

Le nove sezioni dell’esposizione portano il visitatore a concentrarsi più sull’opera dell’artista e meno sulle particolarità private che avvolgono l’esistenza di Vivian Maier, nonostante «il mistero, la scoperta e il lavoro» siano «tre parti difficili da separare», spiega la curatrice Anne Morin. Ne risulta un percorso che racconta a pieno i soggetti e lo stile di Maier, che l’hanno portata al pari di artisti come Robert Frank, Diane Arbus, Robert Doisneau o Henri Cartier-Bresson.

Vivian Maier, Self-Portrait, Chicago, IL, 1956, Gelatin silver print, 2014 © Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Nata da madre francese e padre austriaco nel 1926 a New York, Maier documenta segretamente cinque decenni di scena americana e non solo, venendo consacrata ad una fama mondiale postuma. Trascorre la maggior parte dell’infanzia in Francia, dove, intorno al 1949, scopre quel mondo che sarà il suo compagno di vita più stretto. Gli esordi la vedono scattare con una Kodak Brownie, dotata di una sola velocità di otturatore, senza possibilità di controllo della messa a fuoco e di selezione del diaframma.

Nel 1951 rientra da sola in America lavorando come bambinaia a tempo pieno e trascorre alcuni anni a New York. L’anno successivo acquista una Rolleiflex, macchina professionale che le permette di soddisfare la sua fame di collezione di attimi e di definire quel suo metodo di ricerca che l’ha portata al riconoscimento presente. Sono, tuttavia, gli undici anni trascorsi a crescere i tre figli di una famiglia a Chicago, città in cui si trasferisce nel 1956, dove Maier riesce al meglio a dedicarsi alla sua passione. In questo frangente allestisce una camera oscura all’interno del suo bagno privato, con la possibilità di sviluppare personalmente i suoi rullini in bianco e nero.

Quella di Maier è una ricerca insaziabile, dove il suo occhio si posa la sua macchina scatta, arrivando a costituire un archivio di 150.000 negativi, molti dei quali sono rimasti senza sviluppo. Sembra una chiamata interiore da soddisfare, un bisogno di trattenere luoghi, soggetti, particolari corporei, pattern geometrici o di colore. Unseen. Le foto mai viste di Vivian Maier traduce questo bisogno in una mostra che si snoda tra autoritratti, quartieri popolari di Chicago così come individui ai margini della società, vite dei bambini di cui la fotografa si è presa cura, fino ad immagini più astratte ricche di dettagli piccoli e ravvicinati. Si potrebbe collocare Maier in un contesto di fotografia aperta, che porta in certi casi a domandarsi perché sia stato scelto quel particolare momento di vita da immortalare. A dettare l’esigenza di scatto non è tanto la sintesi di una scena perfetta, ma la capacità di riuscire a trovare l’inconsueto in qualsiasi circostanza e la necessità di doverlo racchiudere in un’immagine.

Vivian Maier, New York, NY, 1954, Gelatin silver print, 2012 © Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Un corpus di opere di una simile portata non può che sollevare il tema dell’intento artistico, dal momento che la fotografa ha seguito personalmente lo sviluppo della sua produzione solo in parte. Diventa quindi necessario uno studio meticoloso delle fotografie personalmente stampate da Maier e delle indicazioni da lei lasciate ai laboratori, al fine di avvicinarsi il più possibile alle scelte che avrebbe potuto fare lei oggi. In merito alla questione, Unseen propone alcuni esempi di una stessa fotografia al suo stadio originale posta a confronto con una versione ricalibrata secondo i criteri che Maier avrebbe potuto adottare.

Il lavoro in bianco e nero della fotografa ha un carattere più intimo e silenzioso delle successive sperimentazioni a colori e cinematografiche. Iconici sono gli autoritratti che Maier cattura spesso attraverso giochi di riflessi tra specchi e vetrate. La sua figura diventa un tutt’uno con l’ambiente che le sta intorno, quasi in risposta ad una volontà di ricerca del proprio io nel mondo. Ricorrenti sono anche le figure di spalle, tratto diventato distintivo del suo stile, il particolare di una capigliatura, la posa di una gamba, lo sguardo intenso di un soggetto cosciente dello scatto o la scena catturata da lontano nel momento in cui la vita accade. I soggetti di Maier sono vari e diversi tra loro, ma spesso accumunati da caratteristiche alle volte inusuali che inchiodano l’occhio di chi guarda.

A partire dagli anni ‘60 Maier sperimenta maggiormente il colore utilizzando una Leica 35mm, creando giochi cromatici estremamente ricchi e più astratti. La figura umana arriva a scomparire dalle sue foto, sostituita da oggetti trovati, giornali e graffiti. Così come cambia il soggetto, evolve anche lo sguardo della fotografa, introducendo primi piani di oggetti visti così da vicino da farne perdere talvolta i contorni e il contatto con la realtà. In questi anni Maier si avvicina anche al linguaggio cinematografico con una macchina da presa Super8, filmando frontalmente la realtà che le si muove intorno.

Vivian Maier conduce una vita piuttosto solitaria, madre dei bambini che cresce non avrà mai figli propri, né una vasta cerchia di amicizie. Chi la conosce la racconta come una donna carica di spirito e riservata allo stesso tempo. Negli ultimi decenni della sua vita Maier incorre in serie difficoltà economiche che la costringono a interrompere quasi del tutto lo sviluppo dei rullini che scatta. Il destino di questo materiale sarà prima un deposito in affitto e successivamente un’asta nel 2007. Acquirente di uno dei box contenenti i rullini è John Maloof, scrittore al tempo in cerca di materiale iconografico sulla città di Chicago. Sarà lui ad avviare il percorso di riunificazione del lavoro della fotografa, svelando agli occhi di tutti quanto fino a quel momento era rimasto celato a pochi. Nel 2009, prima che il suo lavoro possa arrivare al grande pubblico, Maier muore a Chicago all’età di 83 anni.

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