10 agosto 2025

Cortometraggi d’autore: 20 short film da Kubrick a Scorsese

di

Non solo sperimentazioni degli esordi, ma anche veri e propri capolavori (della durata di pochi minuti). Ecco una selezione di titoli da rivedere quest'estate

cortometraggi autore
Wes Anderson, Hôtel Chevalier

Da sempre il cortometraggio è associato all’idea di esordio. In anni non troppo lontani la risalita alle origini filmografiche era un’impresa che gli studenti di cinema si ritrovavano ad affrontare nelle mediateche delle università più fornite. Oggi – in un raro esempio dei suoi non pochi vantaggi – internet ci fornisce una scorciatoia prelibata. Ecco dunque una vera e propria lista di venti corti d’autore che potreste reperire facilmente tra le ciance del web.

Corti, prima e dopo il successo

USA, 1957. Stanley Kubrick realizza un’opera dal titolo eloquente: Flying Padre. La storia è quella di un sacerdote del New Mexico con una parrocchia talmente tanto estesa da avere bisogno di un aereo cabinato per raggiungere tutti i fedeli. E che essi siano donne in difficoltà sanitarie o bambini in attesa di una ramanzina poco importa, il Padre Volante è sempre in azione. Un saggio sul cinismo della realtà, cifra già cara al regista il cui tratto inizia a essere pallidamente riconoscibile in alcuni primi piani e nella carrellata in chiusura.

Secondo titolo da segnalare: proveniente dal commercial, Robert Altman regala Pot Au Feu (1966), uno spot borghese in cui al posto del Grand Marnier c’è la marijuana. Lo spirito è già quello dei California Poker e delle bevute picaresche di M.A.S.H.

Forse è banale inserire La Jetée, ma è un tale capolavoro che almeno un memento per gli scordarelli (o un NB per i giovincelli) è giusto farlo. Nel 1962 Chris Marker segna una tappa fondamentale nella storia della Nouvelle Vague (e quindi del Cinema) con questi soli 28 minuti. La trama, in breve: in un futuro distopico, un militare deve tornare indietro nel tempo per salvare l’umanità, ma si innamorerà durante il viaggio. Un’opera sperimentale e struggente raccontata tutta in fotogrammi fissi tranne uno (al vostro sguardo scoprire quale) che ha il merito di aver fatto da modello per le 12 Scimmie, (forse) Terminator e molti altri.

Rudimentali ma interessantissime operette. O semplicemente “short film”

Ispirato anche da La Jetée, il giovane David Cronenberg gira due rudimentali ma interessantissime operette. In Transfer rappresenta il rapporto conflittuale tra un paziente e il suo psicanalista durante una bizzarra seduta tenuta al centro di una landa ghiacciata e in From the drain racconta di due personaggi-vettori chiusi in una stanza da bagno. Forse all’esterno c’è un’apocalisse o forse un calapranzi, non lo sappiamo. Sappiamo però che una radice mutante è in agguato nelle tubature, alla maniera delle rivoluzioni biologiche che il regista canadese ci ha insegnato a conoscere bene nei decenni successivi.

Werner Herzog Eats His Shoe (1980) è un insolito corto documentario in cui il nome del regista – Les Blank – sparisce in favore del suo protagonista che ne diventa in qualche modo a sua volta autore. Forse non è un caso se è collocato tra i contenuti speciali dell’edizione italiana di Kinski, il mio miglior nemico in cui tra Herzog e il suo feticcio avviene proprio la stessa cosa. Ma tornando al corto in questione: si racconta di come il regista tedesco andò in diretta a cucinarsi le scarpe per promuovere un film a cui teneva particolarmente. Roba da Herzog insomma.

Se invece volete sapere cosa condusse la comitiva di Sam Raimi e Bruce Campbell a realizzare Evil Dead, forse dovreste schiarirvi le idee con Within the woods (1978). La visione non è delle più agevoli vista la pessima qualità delle immagini, ma è decisamente interessante e ci insegna ancora una volta in cosa consiste il savoir faire in scarsità di mezzi.

Procediamo in avanti con il calendario: Hotel Chevalier (2017) di Wes Anderson è posto in esergo al suo Treno per il Darjeeling e racconta la passione tra Natalie Portman e Jason Schwartzman prima che quest’ultimo parta per l’India in un viaggio in cui la sua erotomania è forse giustificata da quanto accaduto in quella stanza d’albergo e in cui il personaggio della Portman sembrerebbe aleggiare come un Kevin Costner su The Big Chill.

Proposto nella stessa modalità, The Crimson Permanent Assurance è il prologo di The Meaning of Life, il capolavoro dei Monty Python (Gran Premio della Giuria, Cannes 1983). La storia di una nave grattacielo che, pur essendo popolato/a da vecchi assicuratori, riesce comunque a farsi strada nelle acque dell’alta finanza. Vulgata pythoniana vuole che Terry Gilliam, lasciato senza controlli in uno studio separato, avesse speso quasi tutto il budget del film solo per questo corto.

Scorsese, Polanski, gli altri

Tornando a opere autonome The Big Shave è forse lo short più noto di Martin Scorsese che s’impone già nel 1967 come provocatore da immagine pura: un uomo si fa la barba talmente a fondo da scorticarsi in un profluvio splatter. Una satira del modello pubblicitario maschile che a noi fa pensare alla celebre copertina di Weasels Ripped my Flesh dei Mother of Invention e che ci riporta a quella straordinaria stagione di scoperte.

Ora andiamo in Polonia. 1957/58, Omicidio e Due Uomini e un Armadio è una coppia di corti che fa da abecedario per tutta l’estetica di Roman Polanski. Nel primo caso vediamo un misterioso killer aggredire un uomo nel sonno in forme che sono l’anticipazione della trilogia dell’appartamento, e nel secondo – a cavallo tra Fellini e Beckett – due uomini emersi dal mare portano a spasso un armadio impossibile da vendere.

E parlando di Beckett non possiamo fare a meno di citare Film, appunto diretto dal drammaturgo irlandese, altro celeberrimo cortometraggio in cui una misterioso cineocchio insegue un uomo che cerca di nascondersi. Quell’uomo è Buster Keaton e l’occhio che lo insegue è… beh, sperando che qualcuno ancora non lo sappia, rimandiamo alla visione di questa esemplare riflessione meta-cinematografica applicabile anche alla logica contemporanea dei social.

Molto più di brevi sperimentazioni

Volando in UK ci chiediamo se sia possibile fare lo stesso film più volte e senza annoiarsi. Peter Greenaway ci ha provato a lungo e già con H Is for House (1976) e Windows (1975) appronta in tutto e per tutto quella logica delle accumulazioni che sarebbe finita nella sua produzione a venire. In questi lavori il regista inglese presenta, rispettivamente, la storia di una casa attraverso una lista di frames alfabetici e una finta statistica sulle defenestrazioni attraverso una serie, appunto, di finestre. In poche parole anticipa ciò che farà in The Falls (1980) e Compton House (1983).

Ci spostiamo in Francia per Emilie Muller (1994) di Yvon Marciano, una delle più intense interpretazioni femminili della storia del cortometraggio e forse del cinema. Girato come fosse il video di un provino, è incentrato su un calembour di emozioni manifestate solo attraverso il volto e le movenze della protagonista (Veronika Varga). Opera semplice, di straordinaria intensità e con un finale incredibile.

Onirici, superclassici: da Salvador Dalì a David Lynch

Non volendo farci mancare nulla tra i must, almeno un assaggio di Salvador Dalì dobbiamo farlo e – siccome di assaggio si tratta – non citeremo Destino (con Walt Disney), Foil Sculpture o i suoi Home Movies, ma un più secco spot del cioccolato Lanvin che forse racchiude tutto il senso stesso delle avanguardie.

Avanguardie che ritroviamo nel superclassico di Maya Deren, Meshes of the Afternoon (1943), sorta di magica tavolozza dotata di una modernità figurativa impressionante. Una donna osserva la natura e la natura osserva lei manifestandosi in forme poetiche e minacciose allo stesso tempo. Orrore, specchi al posto del volto, effetti speciali primordiali, imperdibile.

Su questa china, ma evitando gli arcinoti Alphabet, Grandmother e The Amputee, passiamo a David Lynch optando per Premonition Following an Evil Deed (1995), segmento realizzato per Lumière and Company: 55 secondi di pura angoscia in cui vediamo un omicidio anni Cinquanta, un viaggio nel tempo, una razza aliena e una donna intrappolata in un tubo criogenico.

Il cortometraggio come strumento esclusivo

Dall’onirismo all’esoterismo il passo è breve e non possiamo esimerci dal citare un autore controverso ma che ha fatto della forma cortometraggio il suo strumento esclusivo, Kenneth Anger. Difficile sintetizzare i contenuti e le dinamiche delle sue molteplici installazioni, quindi ci limiteremo a indicare i titoli più rilevanti: Inauguration of the pleausure dome, Skorpio Rising, Invocation of my Demon Brother e il controversissimo Lucifer Rising in cui cultura queer, motociclismo, satanismo e rock (ci sono anche i Rolling Stones) sono frullati in un’unica soluzione allucinante, inquietante e affascinante, un tratto che ha lasciato decisamente il segno anche tra alcuni dei grandi registi qui citati.

In parte affine al genere di Anger è anche Woton’s Wake (1963), uno dei primi cortometraggi di Brian De Palma in cui un fantasma da palcoscenico viaggia in un universo espressionista citando altre opere e anticipando la meta-semantica di cui il regista italo-americano diventerà maestro indiscusso.

Dulcis in fundo, l’Italia: Nanni Moretti e Carmelo Bene

Concludiamo tornando in Italia con due perle dei più affermati tra gli autarchici italiani. Nanni Moretti con Paté de bourgeois (1972) fa le prove tecniche per i suoi esordi al lungo raccontando la disillusione (poi anche nel successivo La sconfitta) dei post sessantottini romani.

Prove tecniche anche per Carmelo Bene che, con Hermitage, dichiara di aver fatto il test delle luci per Nostra signora dei turchi, opera insolita e traccia di un’era in cui il cinema di poesia era possibile e addirittura premiabile (G. P. Giuria, Cannes 1968).

Fingendo di aver concluso la lista, vi auguriamo buona visione.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui