25 giugno 2021

Edson Luli, It Begins with You and Me alla Prometeo Gallery di Milano

di

Non t’assale mai il dubbio, o sognatore, che tutto può essere velo di maya, illusione?
Walt Whitman

Dove Edson Luli, con estrema precisione, seziona lo spazio e il tempo, lasciando che lo spettatore usi il proprio corpo, tutti i suoi sensi, per confrontarsi con se stesso e conoscere realmente chi è e perché, il dubbio viene.

Non che sia illusione, attenzione. Bensì che spazio, tempo e linguaggio non abbiano senso o, almeno, non abbiano lo stesso senso per ognuno di noi. E dunque? L’incomunicabilità è un sentimento comune, fare i conti con essa è soggettivo: noi possiamo vedere il modo in cui Luli ne ha appreso le regole, le ha modificate e le ha adattate a se stesso, ma al contempo possiamo riflettere su come ci saremmo comportati noi. È così che andiamo sondando gli sconfinati vuoti immediatamente dentro e fuori di noi, in un percorso ipnotico, lento e cadenzato, che assume il respiro del corpus di opere ricercate, misurate e levigate dal suo stile creativo.

It Begins with You and Me chiede che si accetti la possibilità di sospendere l’incredulità e di lasciarsi trasportare, vagliandola più e più volte sotto lo spettro delle percezioni, per scoprire particolari – solo in apparenza insignificanti – che rivelano la profondità del campo visivo di Luli ma anche delle lacune, non sempre riconoscibili o riconosciute, che ci separano da tutto ciò che ci è prossimo. Non dunque nel vortice del qui e ora, ma al rallentatore e al microscopio si cortocircuitano una a una le molteplici realtà sovrapposte che ci ingabbiano in cose interessanti, ma nemmeno lontanamente vere, frutto di un condizionamento socio-antropologico più o meno manifesto.

La modalità con cui Luli ha immaginato le sue opere influenza direttamente la posizione del pubblico rispetto a esse. Non è facile stabilire se il loro funzionamento dipenda dai nostri processi percettivi o li disturbi, ma siamo legittimati a immaginare due assi che formano una matrice di due relazioni fondamentali necessarie per collocare e intuire – anche storicamente – la mostra. Agli estremi di ciascun asse sono distribuiti concetti dialetticamente combinati, e sono l’azione e l’idea, la realtà e la rappresentazione.

È lecito chiedersi se il significato di lavori come It takes two to know one e Fragmented chairs produce fragmented thoughts risieda nei gesti e nei processi che accadono nel mentre della loro esposizione o se essi siano guidati da uno schema concettuale, un esperimento, che Luli mette in scena. Per discernere l’oggetto possiamo, o forse dobbiamo – necessariamente – considerare le opere in questione il risultato di un’interazione tra idea e azione: così da poter andare oltre la semplice descrizione per comprenderne invece la portata estetica, la natura e la qualità dei processi coinvolti nell’azione.

Poetica e raffinata, in un certo senso anche imperativa It takes two to know one pone, senza possibilità di sottrarsi, di fronte a un oggetto comune, familiare: verticale su una parete, un vecchio materasso si staglia in primo piano lasciando – solo – intravedere sullo sfondo dei particolari di quadri moderni. “Il tempo sembra passare. Il mondo accade, gli attimi si svolgono, e tu ti fermi a guardare (…)”. C’è una luce nitida, un senso di cose delineate con precisione: il materasso è matrimoniale, i soggetti dei quadri sono sempre in coppia, il neon impera che senza due non si può conoscere l’uno e trafigge di così tanta consapevolezza che chi guarda scardinerà, con maggior sicurezza, il “come” sia possibile piuttosto che il “perché” o il “cosa” significhi.

Parimenti imperativa, Fragmented chairs produce fragmented thoughts non copia la realtà esterna, bensì ne sottolinea razionalmente le connessioni intrinseche, ovvero le dinamiche relazionali che ciascuno percepisce come significative nell’intreccio infinito e casuale che compone il reale. Rivolgendosi direttamente allo spettatore, “Riconosci che la tua sedia potrebbe essere sul punto di crollare?”, l’opera stimola un simultaneo riconoscimento dei codici verificati del reale quotidiano, e anche un ri-arrangiamento critico e personale di elementi e relazioni.

In entrambe gli spettatori, anziché pubblico, agiscono come spie che osservano oggetti condizionati da una storia privata e hanno la possibilità di scegliere di entrare nelle opere, partecipando al loro stato di concentrazione, o di andarsene. Possiamo allora leggerle come un insieme di schemi concettuali di valenza preparatoria e istruttoria diretti a successivi esperimenti behavioristici.

Non promuovendo una visione esclusiva dettata da un punto di vista isolato, avvicinandosi invece a una molteplicità (in)coerente e vibrante che è parte della vita contemporanea, questi lavori concorrono, insieme agli altri in mostra, alla creazione di una nuova narrativa che possiamo definire reale perché immediata. Se si comprende il legame tra realtà e rappresentazione, così come dialetticamente esiste all’interno di opere quali organism-as-a-whole-in-enviroment, Life-Death e Looking through a translucent surface, risulta con chiarezza che spesso ciò che si percepisce come immediato è in realtà un rapporto, sapientemente mediato, tra esperienza e medium.

Per quanto Looking through a translucent surface impegni la realtà e la realtà possa essere intesa o immaginata oltre la sua rappresentazione, è altresì vero che molto dipende dall’abile utilizzo delle tecniche di rappresentazione che Luli mette in gioco. Chi anima il video è, ed è soltanto, un corpo, reale e rappresentato, che interrompe li normale flusso quotidiano affermandosi come corpo che esiste nella sua capacità di porsi in relazione con l’esterno, di offrirsi agli sguardi degli altri, di rivelarsi. In gioco c’è una ridefinizione consumistica dei rapporti. Viene da chiedersi chi possa subirla, la tradizione forse? No. A farne le spese è l’individuo, in carne e ossa, immerso in una certa tradizione o cultura che presuppone ed esige l’organismo anche nella sua capacità di accomodamento più estrema. Ovvero nell’atto stesso della sua essenziale attività-interattività, che si concretizza di fronte a/in relazione con organism-as-a-whole-in-enviroment, che lascia emergere l’esperienza – e i condizionamenti – della storia attraverso un modello figurativo che dà la possibilità di scoprire e riconoscere le proprie impressioni all’interno di un’immagine unitaria. Quest’immagine è quella biosociale dell’uomo, ecco perché allora non c’è da stupirsi se Luli sembra strizzare l’occhio a Friedrich Nietzsche, secondo il quale “tutte le cose dritte mentono e la verità è ricurva”, con l’opera Life-Death. Perché il carbone nel mezzo del continuum, circolare, di vita e morte, è a tutti gli effetti un quadro di riferimento contemporaneo che impone un processo di memoria e di critica del presente. E si, sarà terribile: Ma non ci si lasci ingannare dall’accezione dispregiativa che comunemente pregiudica l’uso di questo termine, al contrario si imprima nelle menti che Søren Kierkegaard scriveva ne il Diario: “langoscia è il primo riflesso della possibilità, un batter docchio, e tuttavia possiede un terribile incantesimo”. Così apparirà evidente che avere un corpo significa essere in comunicazione. Dobbiamo riconoscere che nella società iper-moderna, che culmina con l’informatizzazione della vita sociale, ci troviamo a vivere in una condizione di massa crescente di conoscenze, preferenze e aspettative che sono accelerate nella loro acquisizione e rimozione, senza un effettivo radicamento socio-culturale. La conseguenza, inevitabile, è la messa in discussione della loro possibilità di tramandarsi da una generazione all’altra e di persistere nella loro trasmissione storica. Affatto maldestra come situazione, non vi pare? Eppure il linguaggio è sempre stato qui, fin dall’inizio. La differenza tra allora e adesso non riguarda la raffinatezza, bensì lo spazio: lo spazio in cui esiste e quello che fu immaginato come tale. Emblematica è, in questo senso, L’assenza delle parole nella struttura del silenzio. Emblematica perché in un’epoca di addomesticazione del vissuto, che poi è un’epoca fortemente rumorosa, abbiamo la fobia del silenzio. Un silenzio che però non è affatto vuoto o mancanza. È anzi ricchezza e ancor più relazione, che si dona in un rapporto con il circostante. E allora non preoccupiamoci se ci sarà sempre qualcosa che aspetta la nostra attenzione (… is awating your attention) e al contempo qualunque cosa sarà intorno a noi per distogliere la nostra attenzione (Including this).

Prima che di nuovo tornino il rumore e la velocità, prima di scivolare di nuovo dentro la vita, preoccupiamoci piuttosto di cosa stiamo cercando. Luli, generoso, avverte gli spettatori in prima battuta (What are you looking for?). Forse tutto, forse niente. La risposta, che va oltre, verrà da sé perché, a prescindere, IT (must) BEGIN(S) WITH YOU AND ME.

Testo critico di Elsa Barbieri

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