Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Daniele Degli Angeli – Nuove Tebaidi
Ogni elemento o figura dei quadri esposti sembra emanare un’energia sua propria. Propone partenze e arrivi, quiete e movimento, paura e serenità. Vi è insomma una carica di percezioni, di affetti, di volizioni che affascinano lo spettatore.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
[E che, forse se non ci fossero gli uomini il mondo verrebbe meno ai suoi doveri e le stelle non compierebbero il loro corso, non vi sarebbero più estati e inverni, cesserebbero i soffi dei venti, né dalle nubi condensate e sovrastanti cadrebbero le piogge per portare refrigerio alle aridità?
Arnobio, Contro i Gentili.]___________
Ancora isole segrete, perse in un mare dalle acque profonde. La navigazione di Daniele Degli Angeli tiene una sua rotta ben precisa e determinata nel mondo dell'arte. Invita il nostro occhio a seguirlo tra scogli, arcipelaghi e piccole isole solitarie, un tempo lontano boschive. Si presentano ora quasi del tutto spoglie di vegetazione. Prive del loro mantello di selve, le orditure della natura e quelle della cultura lasciano trasparire un mondo in cui in cui è fortissima la presenza antropica anche se non vi compaiono, di solito, figure. Viste dall'alto vengono rese allo sguardo familiari e stranianti insieme.
Le mappe che il nostro pittore utilizza per veleggiare in questi mari sono le più varie: ricche di elementi culturali, sapienziali, escatologici e ben altro ancora. Eppure la loro fisionomia è inconfutabile soprattutto per conciliare nel modo migliore concezioni platoniche, intellettualismo ellenico, gnosticismo, umanesimo medievale assieme alle istanze della modernità. Niente è più bello del mondo che possiamo vedere con gli occhi della carne. Eppure la lettura anagogica che veniamo invitati continuamente a compiere nell'interpretazione dei segni ci porta in altri luoghi rispetto a quelli che le mappe descrivono.
Vi sono connessioni analogiche, circuitazioni di segni, slittamenti di senso. Il Mare Grande che queste mappe descrivono porta in sé un'idea di cosmo continuamente mutevole. L'idea di mondo armonico, buono ed eterno propria dell'antica Grecia si aggrega a quella apocalittica della tradizione giudaica e poi a quella cristiana di un Dio che, dopo la distruzione di questo mondo, ne appresta uno del tutto nuovo. Le mappe danno indicazioni ben precise, un ordine preciso le governa, cambia la nostra modalità di interpretarle. Le isole sono come entità spirituali in grado di sentire tutta l'incertezza della loro continuità fisica con la terra che si prolunga sotto il mare profondo.
Seguiamo dunque questa seconda navigazione che il nostro artista propone, partendo con il quadro della Visione di Patmos (2007). Si comincia proprio da un'isola che non è mai stata citata da Omero, che non gode quindi di quella celebrità classica di tante isole ad essa simili. L'isola diventa famosa solo con San Giovanni. L'importanza del testo dell'Apocalisse che il santo scrive come resoconto di una rivelazione, apre infiniti orizzonti e nuovi traguardi alla gestione spirituale dell'essere umano.
Al centro della composizione l'isola si erge maestosa come una verde montagna, dissolta torre di Babele. Un mare profondo avvolge ogni cosa. Il Pane e il Vino sono posti su uno scoglio davanti all'isola a simbolizzare il sacrificio del Cristo. Nel recinto del sacro si erge solitario un albero verde. “Un albero di vita che fa dodici frutti, dando il suo frutto ogni singolo mese” dice il testo dell'Apocalisse. In uno spazio/tempo che declina reminiscenze e innovazioni, provocazioni e rinascite, la parola di Giovanni è la vera traccia del legno “verde” della novità del cristianesimo all'interno del mondo giudaico pagano.
Al centro della tela sta dunque l'isola di Patmos. Nel girare concentrico dei sentieri l'occhio si sposta verso la sommità, ma tutta l'attenzione viene catturata dai grandi fuochi che avvampano i due scogli sullo sfondo. L'importanza del fuoco all'interno delle teofanie è ben nota, esprime sempre la presenza di una realtà spirituale angelica o divina. Nell'Antico Testamento il fuoco è la presenza misteriosa di Dio che entra nella storia dell'uomo. In questo senso vengono intesi sia il roveto ardente che, senza consumarsi, appare a Mosè sia l'episodio di Abramo che al tramonto del sole offre un sacrificio al Signore e, ormai fatto buio fitto, “ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi”.
Ancora nel Nuovo Testamento il fuoco compare come fuoco della geenna, come fornace, come fuoco dell'inferno, ma già in Luca (3,16) Giovanni Battista annuncia “Costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” e Cristo stesso afferma “Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur?” (12,49). Vi è insomma un parallelo tra quello che il fuoco realizza nel mondo fisico e quello che esso produce nell'ambito spirituale come ardore e irradiazione dell'amore di Cristo.
Quanti fuochi dunque in questi quadri di Degli Angeli! Roveti ardenti ed alberi infuocati, fornaci, fuochi di vulcani e di draghi, di sacrificali pire accese sulla morte. Necessitano questi segni di essere sciolti attraverso gradi diversi di analogie di oggetti e di gesti della pittura. Il cielo e la terra e tutte le cose che sul quadro appaiono sono vive di una sottile armonia che lega le cromie e le forme: sono le pennellate delle onde che raggiungono la spiaggia, è la partitura ternaria delle barche portate sulla riva, è il variare delle correnti marine che coglie le misteriose forze di movimenti sotterranei.
Iniziare il viaggio da questa piccola isola significa allora lasciare alla memoria il compito di tessere piccoli insistiti fili tra un “prima” ed un “presente” segnato dall'Incarnazione che realizza un tempo totalmente diverso, quello della Salvezza. Cristo diventa il centro del tempo. La categoria della salvezza modifica sostanzialmente ogni concezione di essere nel tempo dell'uomo. Se l'evento decisivo, la Crocefissione, è già accaduto, nella certezza del Cristo sta il tempo di attesa.
Il fuoco accompagna l'uomo viator anche nel buio profondo della notte stellata. Ancora ci sono fuochi nella bellezza delle stelle, anzi nella loro caduta come nella piccola tela la Notte di San Lorenzo (2008). Se nell'Apocalisse di Giovanni la caduta delle stelle è la dissoluzione degli angeli ribelli, il loro collasso, nel quadro del nostro artista irrompe come teatralizzazione di reminiscenze profetiche e poetiche. La caduta degli astri non solo fa pensare ad un loro movimento ma li rappresenta come entità spirituali. Lunghe strisce di fuoco solcano la notte del cielo. Vengono da distanze abissali, dal regno dei morti, a portare sulla terra semi di un'altra vita.
La composizione, attraverso slontananti scansioni a cuneo, porta l'occhio dello spettatore al limite dell'orizzonte, occupato da una verde catena montuosa sopra la quale si apre il cielo profondo solcato dalle meteore. Potremmo certamente chiederci di che isole si tratti se fra le rocce e i monti si annidano fortezze rosso fuoco. Quali ordini guerrieri hanno scelto di difendere queste terre disperse? Quali assalitori le assediano? Tra attaccante e attaccato le differenze si elidono. Non occorre più farsi domande. Eppure tutto quanto viene dipinto sulla tela ha una sua interiorità: ogni cosa è in grado di tremare e provare stupore di fronte al manifestarsi della visione, all'epifania del cielo.
Anche la nuditas naturalis di Prometeo e la sua piccola torcia fissata alla roccia ci parlano ancora una volta del fuoco rapito e donato. È un fuoco che non vive più solo nei cieli ma popola la terra di manufatti, tecnologie ed arti. Ardente iperboreo è una tela del 2009. Il corpo dell'eroe mitologico è di un biancore di neve, come fuori scala. La sua carne non rappresenta più nessuna sofferenza ma nemmeno nessuna sensibilità: ormai materiale insensibile, diventa rappresentazione di una rappresentazione. Ha la consistenza e il colore di quella pergamena detta “virginea” fatta coi feti degli agnelli.
Eppure Prometeo è importante per la storia dell'umanità. In Apollodoro, infatti, si legge che “plasmò gli uomini e donò loro il fuoco che celò in una ferula, di nascosto da Zeus. Quando lo venne a sapere, Zeus ordinò a Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo sul Caucaso, che è un monte della Scizia”. Per il furto del fuoco dunque Prometeo patisce una pena sino a che Eracle lo libera. Vi è anche in questa tela un percorso testuale che modifica un ordine del mondo che non si presenta più per quello che è ma che propone altro. Alla crisi della visione si risponde con l'essere totalmente nella percezione dello sguardo dell'artista.
La composizione dei suoi quadri ci presenta una realtà che non è quella della mimesi del reale ma di una intrusione della realtà nella pittura attraverso presenze diverse. Si veda, ad esempio, il viaggio nelle lande polari di Umberto Nobile con la sua tenda rossa persa nei ghiacci o, ancora, i paesaggi agrari che strapiombano in mare come nella Grande Tebaide della scogliera (2010). Le forme rocciose, gli animali, le poche figure, gli opifici...e quant'altro ancora il nostro artista voglia delineare nel quadro, occupano un loro spazio narrativo fuori di ogni realtà definita. Eppure essa è del tutto necessaria affinché la storia si sviluppi sul supporto della tela. È un mondo in azione. In questi luoghi ci sono opifici e ci sono delle case: sono luoghi di lavoro e di civile abitazione che testimoniano la presenza di una umanità pur sempre passibile di peccato, di rovina e di salvezza.
La Grande Tebaide del sale (2011) diventa una sorta di poetica del fantastico. Un esatto bilanciamento tra un universo della tradizione figurativa e quello di una pittura che dubita del nostro modo di adesione al reale. La partitura cromatica si è schiarita di molto e permette, alla fine, una amplificazione incredibile di oggetti e di testimoni non visibili ma percepibili. Con un gusto finissimo della giustapposizione, l'artista ci propone un tempo dell'agire che diventa memoria del passato e rappresentazione del futuro. Nello stesso istante, facendo scivolare l'occhio sulla tela, passiamo dalla spiaggia in primo piano con la tartaruga alla spiaggia dell'isola di fronte con le tre barche in riparazione/costruzione sulla spiaggia. La gru ci porta fuori da quello stupore del tempo fermo dell'attesa che la pittura di Degli Angeli ci ha fatto conoscere tanto a fondo.
Questo elemento materiale “della contemporaneità” paradossalmente produce un'estensione massima, un ampliamento irreale della visione. In questo orizzonte tecnologico si innestano altre presenze come il traliccio e le antenne radio. Sembrano quasi voler suggerire che gli eremiti possono comunicare anche con altre lunghezze d'onda del pensiero, tra di loro e con la divinità. È una modalità dell'occhio dell'artista di cogliere una concettualizzazione delle figure come si trattasse di un lavoro filosofico puntuale.
Ogni elemento o figura dei quadri esposti sembra emanare un'energia sua propria. Propone partenze e arrivi, quiete e movimento, paura e serenità. Vi è insomma una carica di percezioni, di affetti, di volizioni che affascinano lo spettatore. Eppure lo spettatore è sempre portato ad una oscillazione voluta tra reale e favoloso. Chi abita alla fine questo mondo di isole? Non solo stiliti, santi eremiti o espiatori. Sono terre apparentemente vuote di umanità o sono piuttosto gli esuli che ritornano che esse silenziose aspettano?
Gianni Cerioli
Arnobio, Contro i Gentili.]___________
Ancora isole segrete, perse in un mare dalle acque profonde. La navigazione di Daniele Degli Angeli tiene una sua rotta ben precisa e determinata nel mondo dell'arte. Invita il nostro occhio a seguirlo tra scogli, arcipelaghi e piccole isole solitarie, un tempo lontano boschive. Si presentano ora quasi del tutto spoglie di vegetazione. Prive del loro mantello di selve, le orditure della natura e quelle della cultura lasciano trasparire un mondo in cui in cui è fortissima la presenza antropica anche se non vi compaiono, di solito, figure. Viste dall'alto vengono rese allo sguardo familiari e stranianti insieme.
Le mappe che il nostro pittore utilizza per veleggiare in questi mari sono le più varie: ricche di elementi culturali, sapienziali, escatologici e ben altro ancora. Eppure la loro fisionomia è inconfutabile soprattutto per conciliare nel modo migliore concezioni platoniche, intellettualismo ellenico, gnosticismo, umanesimo medievale assieme alle istanze della modernità. Niente è più bello del mondo che possiamo vedere con gli occhi della carne. Eppure la lettura anagogica che veniamo invitati continuamente a compiere nell'interpretazione dei segni ci porta in altri luoghi rispetto a quelli che le mappe descrivono.
Vi sono connessioni analogiche, circuitazioni di segni, slittamenti di senso. Il Mare Grande che queste mappe descrivono porta in sé un'idea di cosmo continuamente mutevole. L'idea di mondo armonico, buono ed eterno propria dell'antica Grecia si aggrega a quella apocalittica della tradizione giudaica e poi a quella cristiana di un Dio che, dopo la distruzione di questo mondo, ne appresta uno del tutto nuovo. Le mappe danno indicazioni ben precise, un ordine preciso le governa, cambia la nostra modalità di interpretarle. Le isole sono come entità spirituali in grado di sentire tutta l'incertezza della loro continuità fisica con la terra che si prolunga sotto il mare profondo.
Seguiamo dunque questa seconda navigazione che il nostro artista propone, partendo con il quadro della Visione di Patmos (2007). Si comincia proprio da un'isola che non è mai stata citata da Omero, che non gode quindi di quella celebrità classica di tante isole ad essa simili. L'isola diventa famosa solo con San Giovanni. L'importanza del testo dell'Apocalisse che il santo scrive come resoconto di una rivelazione, apre infiniti orizzonti e nuovi traguardi alla gestione spirituale dell'essere umano.
Al centro della composizione l'isola si erge maestosa come una verde montagna, dissolta torre di Babele. Un mare profondo avvolge ogni cosa. Il Pane e il Vino sono posti su uno scoglio davanti all'isola a simbolizzare il sacrificio del Cristo. Nel recinto del sacro si erge solitario un albero verde. “Un albero di vita che fa dodici frutti, dando il suo frutto ogni singolo mese” dice il testo dell'Apocalisse. In uno spazio/tempo che declina reminiscenze e innovazioni, provocazioni e rinascite, la parola di Giovanni è la vera traccia del legno “verde” della novità del cristianesimo all'interno del mondo giudaico pagano.
Al centro della tela sta dunque l'isola di Patmos. Nel girare concentrico dei sentieri l'occhio si sposta verso la sommità, ma tutta l'attenzione viene catturata dai grandi fuochi che avvampano i due scogli sullo sfondo. L'importanza del fuoco all'interno delle teofanie è ben nota, esprime sempre la presenza di una realtà spirituale angelica o divina. Nell'Antico Testamento il fuoco è la presenza misteriosa di Dio che entra nella storia dell'uomo. In questo senso vengono intesi sia il roveto ardente che, senza consumarsi, appare a Mosè sia l'episodio di Abramo che al tramonto del sole offre un sacrificio al Signore e, ormai fatto buio fitto, “ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi”.
Ancora nel Nuovo Testamento il fuoco compare come fuoco della geenna, come fornace, come fuoco dell'inferno, ma già in Luca (3,16) Giovanni Battista annuncia “Costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” e Cristo stesso afferma “Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur?” (12,49). Vi è insomma un parallelo tra quello che il fuoco realizza nel mondo fisico e quello che esso produce nell'ambito spirituale come ardore e irradiazione dell'amore di Cristo.
Quanti fuochi dunque in questi quadri di Degli Angeli! Roveti ardenti ed alberi infuocati, fornaci, fuochi di vulcani e di draghi, di sacrificali pire accese sulla morte. Necessitano questi segni di essere sciolti attraverso gradi diversi di analogie di oggetti e di gesti della pittura. Il cielo e la terra e tutte le cose che sul quadro appaiono sono vive di una sottile armonia che lega le cromie e le forme: sono le pennellate delle onde che raggiungono la spiaggia, è la partitura ternaria delle barche portate sulla riva, è il variare delle correnti marine che coglie le misteriose forze di movimenti sotterranei.
Iniziare il viaggio da questa piccola isola significa allora lasciare alla memoria il compito di tessere piccoli insistiti fili tra un “prima” ed un “presente” segnato dall'Incarnazione che realizza un tempo totalmente diverso, quello della Salvezza. Cristo diventa il centro del tempo. La categoria della salvezza modifica sostanzialmente ogni concezione di essere nel tempo dell'uomo. Se l'evento decisivo, la Crocefissione, è già accaduto, nella certezza del Cristo sta il tempo di attesa.
Il fuoco accompagna l'uomo viator anche nel buio profondo della notte stellata. Ancora ci sono fuochi nella bellezza delle stelle, anzi nella loro caduta come nella piccola tela la Notte di San Lorenzo (2008). Se nell'Apocalisse di Giovanni la caduta delle stelle è la dissoluzione degli angeli ribelli, il loro collasso, nel quadro del nostro artista irrompe come teatralizzazione di reminiscenze profetiche e poetiche. La caduta degli astri non solo fa pensare ad un loro movimento ma li rappresenta come entità spirituali. Lunghe strisce di fuoco solcano la notte del cielo. Vengono da distanze abissali, dal regno dei morti, a portare sulla terra semi di un'altra vita.
La composizione, attraverso slontananti scansioni a cuneo, porta l'occhio dello spettatore al limite dell'orizzonte, occupato da una verde catena montuosa sopra la quale si apre il cielo profondo solcato dalle meteore. Potremmo certamente chiederci di che isole si tratti se fra le rocce e i monti si annidano fortezze rosso fuoco. Quali ordini guerrieri hanno scelto di difendere queste terre disperse? Quali assalitori le assediano? Tra attaccante e attaccato le differenze si elidono. Non occorre più farsi domande. Eppure tutto quanto viene dipinto sulla tela ha una sua interiorità: ogni cosa è in grado di tremare e provare stupore di fronte al manifestarsi della visione, all'epifania del cielo.
Anche la nuditas naturalis di Prometeo e la sua piccola torcia fissata alla roccia ci parlano ancora una volta del fuoco rapito e donato. È un fuoco che non vive più solo nei cieli ma popola la terra di manufatti, tecnologie ed arti. Ardente iperboreo è una tela del 2009. Il corpo dell'eroe mitologico è di un biancore di neve, come fuori scala. La sua carne non rappresenta più nessuna sofferenza ma nemmeno nessuna sensibilità: ormai materiale insensibile, diventa rappresentazione di una rappresentazione. Ha la consistenza e il colore di quella pergamena detta “virginea” fatta coi feti degli agnelli.
Eppure Prometeo è importante per la storia dell'umanità. In Apollodoro, infatti, si legge che “plasmò gli uomini e donò loro il fuoco che celò in una ferula, di nascosto da Zeus. Quando lo venne a sapere, Zeus ordinò a Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo sul Caucaso, che è un monte della Scizia”. Per il furto del fuoco dunque Prometeo patisce una pena sino a che Eracle lo libera. Vi è anche in questa tela un percorso testuale che modifica un ordine del mondo che non si presenta più per quello che è ma che propone altro. Alla crisi della visione si risponde con l'essere totalmente nella percezione dello sguardo dell'artista.
La composizione dei suoi quadri ci presenta una realtà che non è quella della mimesi del reale ma di una intrusione della realtà nella pittura attraverso presenze diverse. Si veda, ad esempio, il viaggio nelle lande polari di Umberto Nobile con la sua tenda rossa persa nei ghiacci o, ancora, i paesaggi agrari che strapiombano in mare come nella Grande Tebaide della scogliera (2010). Le forme rocciose, gli animali, le poche figure, gli opifici...e quant'altro ancora il nostro artista voglia delineare nel quadro, occupano un loro spazio narrativo fuori di ogni realtà definita. Eppure essa è del tutto necessaria affinché la storia si sviluppi sul supporto della tela. È un mondo in azione. In questi luoghi ci sono opifici e ci sono delle case: sono luoghi di lavoro e di civile abitazione che testimoniano la presenza di una umanità pur sempre passibile di peccato, di rovina e di salvezza.
La Grande Tebaide del sale (2011) diventa una sorta di poetica del fantastico. Un esatto bilanciamento tra un universo della tradizione figurativa e quello di una pittura che dubita del nostro modo di adesione al reale. La partitura cromatica si è schiarita di molto e permette, alla fine, una amplificazione incredibile di oggetti e di testimoni non visibili ma percepibili. Con un gusto finissimo della giustapposizione, l'artista ci propone un tempo dell'agire che diventa memoria del passato e rappresentazione del futuro. Nello stesso istante, facendo scivolare l'occhio sulla tela, passiamo dalla spiaggia in primo piano con la tartaruga alla spiaggia dell'isola di fronte con le tre barche in riparazione/costruzione sulla spiaggia. La gru ci porta fuori da quello stupore del tempo fermo dell'attesa che la pittura di Degli Angeli ci ha fatto conoscere tanto a fondo.
Questo elemento materiale “della contemporaneità” paradossalmente produce un'estensione massima, un ampliamento irreale della visione. In questo orizzonte tecnologico si innestano altre presenze come il traliccio e le antenne radio. Sembrano quasi voler suggerire che gli eremiti possono comunicare anche con altre lunghezze d'onda del pensiero, tra di loro e con la divinità. È una modalità dell'occhio dell'artista di cogliere una concettualizzazione delle figure come si trattasse di un lavoro filosofico puntuale.
Ogni elemento o figura dei quadri esposti sembra emanare un'energia sua propria. Propone partenze e arrivi, quiete e movimento, paura e serenità. Vi è insomma una carica di percezioni, di affetti, di volizioni che affascinano lo spettatore. Eppure lo spettatore è sempre portato ad una oscillazione voluta tra reale e favoloso. Chi abita alla fine questo mondo di isole? Non solo stiliti, santi eremiti o espiatori. Sono terre apparentemente vuote di umanità o sono piuttosto gli esuli che ritornano che esse silenziose aspettano?
Gianni Cerioli
07
maggio 2011
Daniele Degli Angeli – Nuove Tebaidi
Dal 07 al 22 maggio 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 17.00-20.00; sabato e festivi 17.00-20.00 - martedì chiuso
Vernissage
7 Maggio 2011, ore 18.00
Autore
Curatore