13 marzo 2002

Fino al 30.III.2002 Philip-Lorca diCorcia Milano, Galleria Monica De Cardenas

 
Heads 2000, Streetwork 1993-99, Hollywood 90-92, queste le serie fotografiche in mostra. Scenari urbani e domestici, i soggetti sono ri-elaborati sul set, risettati, ripresi in appartamenti e sulle strade del mitico Boulevard Santa Monica, Los Angels...

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Philip-Lorca diCorcia ha un approccio alla fotografia di tipo cinematografico; ripercorrendo alcune tecniche Hollywoodiane, illuminazioni a fasci diretti, luci che isolano, fari seguipersone, figure riflesse su e/o attraverso le superfici, crea quegli effetti magnetici, ipnotici, che rapiscono chi guarda in mondi di immagini immaginarie.
La fiction fotografica ricostruisce le realtà inscenate; dunque autentici set dove soggetti e luoghi sono anticipatamente preparati, le scenografie costruite con materiali trovati.
Questo vale in particolare per i lavori degli anni ’80, dove prevalgono le ambientazioni private, quando riprende i suoi famigliari, emblematico lo scatto al fratello Mario, ritratto di fronte al frigorifero aperto.
Sperimentando con scatti successivi di polaroid le pose e i risultati, mixando luci artificiali e naturali, traduce disillusioni, perplessità, momenti di riflessione, attimi di quotidianità.
Rispetto a questi primi impegni, le serie successive, in particolare Hollywood e Streetwork vedono il fotografo cominciare a lavorare sulle strade di diverse città del mondo (New York, Londra, Napoli, Calcutta, Città del Messico). Qui l’artista prende accordi, contratta, offre compensi per le loro prestazioni a prostituti, sbandati e disoccupati, ogni foto porta titolo e prezzo pagato per il tempo dedicatogli. Per le riprese utilizza faretti e un complesso sistema di flash. I soggetti sono illuminati dall’alto e frontalmente, isolati sulle scene, così da ottenere foto vivide, ammalianti, come Tokyo 1994.
Decisamente interessante, per ottenere questi risultati, l’uso delle carte ektacolor, appunto necessarie a focalizzare l’attenzione sui particolari, esaltare i colori, i bianchi splendenti, brillanti. Fermando l’istante che separa immaginazione e realtà, sonno e veglia, crea una fiction, una sorta di distanza immaginaria tra soggetti e oggetti; le immagini si trasformano così in serbatoi-risorse per i sistemi personali di visione di chi guarda.
Per scattare le nuove fotografie, Heads, diCorcia usa il teleobbiettivo. Rispetto alle precedenti, dove i soggetti sono accompagnati da sfondi, qui prevalgono le inquadrature dei volti, imbiancati da luci stroboscopiche; l’effetto è l’apparenza di un movimento rallentato. Questo tipo di lampade emettono infatti dei flash di luce con una frequenza regolabile; possono così essere usate per congelare il movimento degli oggetti, delle persone, fornendo delle immagini a intervalli di tempo fissati. E’ così che l’evento temporale può essere sezionato in frame, frammenti, sempre più piccoli, congelati, appunto, da un flash.
Altro particolare, non meno degno di nota, è il modo in cui scatta. Nascondendosi dietro un angolo di strada, costruendo impalcature dove posiziona i flash, fotografa all’insaputa di chi passa, le luci si accendono all’improvviso, creando quadri luminescenti basati su dissolvenze incrociate delle luci e degli ambienti. Non in contraddizione rispetto ai lavori fotografici di Lorca diCorcia, piuttosto con un utilizzo altro delle luci, l’esposizione prosegue con i lavori Dietro di sé di Chiara Dynis. In una stanza buia sono posizionate tre lastre in vetroresina illuminate dall’interno. Si tratta di un brevetto lenticolare costituito da 36 pose fotografiche che compongono un film di luci; le variazioni ottiche sono prodotte dallo scivolamento delle stesse sulle scanalature delle vetrate. Grazie a questi filamenti si producono effetti tridimensionali e variazioni di prospettive.

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Tullio Pacifici


Philip-Lorca diCorcia
Fino al 30/III/2002
Galleria Monica De Cardenas, Via Viganò 4, 20124 Milano. Tel. 02/29010068, fax 02/29005784, e-mail: monica@decardenas.comOrario: da martedì a sabato ore 15 – 19
Con la collaborazione di Suzy Shammah


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