19 settembre 2000

Fino all’8.X.2000 Beuys a Venezia: istruzioni per l’uso Venezia, Fondazione Bevilacqua la Masa

 
Il grande artista tedesco ospitato alla Fondazione Bevilacqua La Masa...

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La mostra.
Beuys, dopo la produzione di disegni e sculture negli anni ’40 e ’50, nei ’60 fu tra i fondatori di Fluxus con cui intraprese diverse azioni. Fu insegnante e scrittore di opere fondamentali per il movimento concettuale.
La mostra che la Bevilacqua la Masa dedica a Beuys è curata da Helmut Friedel, direttore della Lembach Haus di Monaco, e da Giovanni Covane, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Catania; propone circa 150 opere che ripercorrono le tappe fondamentali del pensiero beuysiano, dagli anni ’60 agli anni ’80. Le stanze allestite sono dedicate ognuna ad un tema e, rispettivamente: al disegno, alla scultura, alle installazioni, all’ambiente, alla natura, all’artista e la sua immagine.
Beuys fu molto amato specie negli Stati Uniti; nel ’79 il Guggenheim di New York gli dedicò l’ultima grande retrospettiva, che l’artista giudicò visione biografica dei suoi obiettivi. Figura fra le più discusse dell’avanguardia europea per le sue performances dissacranti, insegnò alla Kunstakademie di Dusseldorf dal 1961 al 1972. Tra le sue “azioni” più note “Il silenzio di Marcel Duchamp è sopravalutato” (1964), “Haupstrom” (1967), “Celtic” (1970-1971), “I like America and America like me” (1077). Famoso anche il suo rimboschimento con 7000 querce a Documenta 7 dell’’82.
La mostra è inserita nel programma che la Biennale Architettura dedica quest’anno alle contaminazioni tra architetti e artisti.
La Bevilacqua la Masa ha, in questa occasione, collaborato anche alla realizzazione di una particolare iniziativa intrapresa dall’Associazione di Conegliano Altamira Gallery, in memoria di Joseph Beuys. Si tratta di una serie di contributi critici e di un servizio di approfondimento con foto, musiche e rumori tratti dalle opere dell’artista.

Istruzioni per l’uso.
“…mi devo preparare, devo prepararmi senza sosta. Durante tutta la vita devo comportarmi in modo tale che ciascun istante faccia parte della preparazione.” Neppure Duchamp era riuscito a ribaltare il concetto di arte; la sua anti-arte mirava infatti ad un’oggettivazione che si manifestava nello stesso campo dell’arte tradizionale, quello dell’estetica.
In altre parole in Dechamp v’era pur sempre l’oggetto, anche se esso stava lì a dichiarare la propria negazione e il bisogno dell’artista di una rivoluzione. Nel pensiero di Beuys la ricerca dei nuovi fondamenti dell’arte non poteva trovare soluzione nell’ambito delle Belle Arti. L’Arte invece, per ora un concetto solo svuotato di significato (privato di oggetto ed estetica), deve essere considerata il fine di ogni produzione futura in tutti gli ambiti della vita e del lavoro e solo quando questo concetto sarà sedimentato nella coscienza collettiva si potrà ripartire alla volta di una riorganizzazione della società in senso democratico. In somma l’arte diviene con Beuys un modo d’agire, anzi l’unico che possa esprimere in modo adeguato l’umana natura in una società sclerotizzata come quella attuale, governata dal pensiero scientifico borghese (materialismo e positivismo sono giudicati ormai superati) in connubio con quello religioso. Dunque spazio alla rivoluzione per il disfacimento di un sistema sociale invecchiato, destinato alla morte, insieme all’arte.
Per la resurrezione bisogna considerare che ogni uomo, in potenza è un artista ed è in grado, affermando con l’agire e il fare la propria libertà, di determinare la libertà altrui, vista come fine ultimo per un futuro ordine democratico che governi il mondo.
Beuys vede, intorno a sé, solo gente che lavora in quell’ottica formale cui lui chiede di rinunciare; è la caratteristica del pensare occidentale, che ha costretto l’arte nel campo di una mera speculazione per farci vedere al meglio (eppure imperfettamente) ciò che appare davanti ai nostri occhi. Questo particolare procedere per processi analitici impedisce che l’uomo riesca a liberare la propria mente per ricondursi ad una sorta di archetipo dove l’arte in sé è forma adeguata all’esistenza, in quanto semplicemente necessità vitale, soluzione primaria alla questione beuysiana dell’energia: l’energia è l’essenza dell’habitus artistico che si esprime in ogni gesto, attività, partecipazione sociale e collettiva; vari sono i tipi di energia e bisogna disporre di un inventario di tutte quelle disponibili. Ciò è possibile solo con l’allenamento alla pratica artistica.
Dunque per Beuys l’arte è essenzialmente un habitus mentale e comportamentale, ma come si esprime, cosa produce e, soprattutto, a che fine mira? L’agire artistico dev’essere completamente autonomo, privo di ogni ingerenza interna ed esterna (potremo dire istintuale, di qui la necessità di “prepararsi”). L’individuo incondizionato opera in completa libertà e mostra il proprio operato agli altri, come accidente, per suscitarne la reazione e la critica. In questo atto istintivo che accidentalmente propone agli altri, Beuys auspica che ciò susciti l’emancipazione del suo interlocutore all’insegna di una mimesis suprema dell’agire libero. La conseguenza finale di tale processo è la conseguente liberazione di se stesso, di quell’io che ha innescato il processo e che, liberando l’altro, inevitabilmente lo invita a liberare il suo liberatore. L’agire artistico non è perciò né poiesis né teche, semmai praxis.
Alla luce di queste considerazioni appare evidente che le opere di Beuys non mostrano alcuna qualità formale (ché sarebbe errato cercarne) ma sono lì a testimoniare performances od eventi che si caratterizzano per la loro incompiutezza ed imperfezione, aspetto, quest’ultimo, basilare per Beuys per il quale lo stato di quiete dichiarato da un fenomeno compiuto e finito, rappresenta la negazione del fare e dell’agire, dunque la morte dell’arte. In questa prospettiva si comprende l’utilizzo di Beuys di oggetti come le lavagne, sulle quali è possibile riscrivere all’infinito, ma anche di materiali come il grasso, la cera, la colla ed il miele, sostanze che nella loro duttilità, fisicità, manipolabilità, mantengono la memoria della loro origine animale e, nel contempo, sono passibili di continue modificazioni determinate dalla loro natura termoplastica.
Due slogan caratterizzano la vita di Beuys: Kunst = Kapital: il capitale è inteso svuotato di ogni implicazione economica e reinterpretato come fonte collettiva disponibile cui attingere individualmente in termini di azione, creatività. Socialplastik: è il fine dell’agire artistico di Beuys, la scultura sociale che si realizzi come affermazione dell’autodeterminazione dell’individuo. Il gesto (più che l’opera) viene consegnata all’altro-uomo che sentirà il bisogno di analizzare l’evento né oggettivo né soggettivo e discuterlo con chi l’ha reso possibile, l’Io creatore.
Dietro il pensiero di Beuys ci sono certamente i filosofi romantici Fichte e Novalis, ma anche il Marx che critica l’individualismo soggettivistico e il Nietzsche che teorizza il superuomo che cammina e opera tra la derisione e l’incomprensione della società borghese.
Tuttavia il complesso sistema filosofico di Beuys non è privo di incongruenze, anzi lo stesso artista è consapevole che la sua è una missione impossibile. L’utopia di Beuys consiste nell’impossibilità di votare la propria esistenza alla disponibilità nei confronti del prossimo certo di corrispondere sempre alle sue risposte e provocazioni, cioè, in fondo, di rispondere alla libertà altrui, rendendo, di fatto, impervia la via alla salvezza della propria libertà. Il paradosso sta invece nel fatto che la libertà dell’artista, per essere salvaguardata, deve correre il rischio di soccombere di fronte all’incoercibilità del prossimo. Il pericolo di perdersi definitivamente è legato proprio alla possibilità che l’altro, il destinatario dell’azione, si opponga e non accetti il gesto liberatorio attuato nei suoi confronti. Rifiutando, di fatto, di farsi conduttore dell’energia che proviene dall’artista, l’altro-uomo interrompe il processo di liberazione dell’artista (oltre che il proprio). E ciò accade perché l’approccio dell’artista nei confronti dell’altro non dev’essere mai di evangelizzatore, di educatore, piuttosto di stimolatore di una volontà, che nasce spontanea, di mimesis; l’artista, in fondo, dona il proprio gesto all’altro-uomo senza poterne prevedere la reazione. La riuscita di questo dialogo è la nascita, nell’altro-uomo dell’altro-artista, primo passo per una palingenesi universale.
In conclusione in Beuys la questione dell’arte è strumentale per una riflessione sull’uomo e sul suo fare; la predisposizione spirituale a questa analisi è condotta all’insegna di un ripristino dello spirito ludico (vera condizione dell’uomo libero) che impera nella sua polis ideale, già perché, in fondo e al di là del suo impegno quale fondatore dei verdi in Germania, l’opera di Beuys può ragionevolmente essere vista come una teoria politica, in cui la democrazia diretta è la forma di governo, in cui l’uomo vive liberamente nella salvaguardia altrui, senza che ciò sia in nessun modo vincolato ad una volontà collettiva.


Mostra “Sei stanze per Beuys a Venezia”. Dal 18 giugno all’8 ottobre 2000. Venezia, Fondazione Bevilacqua la Masa, Piazza San Marco 71/a. Orari: 10.00-19.00 (martedì chiuso). Informazioni: tel. 041/5237819 o 041/5207797; e-mail:info@bevilacqualamasa.it ; web: www.bevilacqualamasa.it. Servizio di approfondimento esclusivo sul sito internet dell’Associazione Culturale Altamira Gallery, via 11 febbraio 42, Conegliano (TV); tel. 0438/426280; e-mail: gallery@altamiraweb.it; web:www,altamiragallery.it.

Alfredo Sigolo

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