12 aprile 2005

fino al 30.IV.2005 Sol LeWitt al Portico d’Ottavia Roma, Valentina Bonomo

 
Cinque pareti solcate da line sottilissime. Tracciate con pazienza e perizia con il solo ausilio della matita. Strumento emblematico del ripensamento. Sol LeWitt realizza un’opera affascinante, ma effimera. Destinata a scomparire. Non però il suo concetto…

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Guardando le bianche pareti disegnate da Sol LeWitt (Hartford, Connecticut, 1928; vive in Umbria) viene spontaneo farsi una domanda apparentemente sciocca: che fine faranno dopo il 30 aprile? Già, perché a ben guardare non c’è nessun pannello appoggiato sui muri, l’artista ha direttamente disegnato con la matita sulla parete. La risposta? Saranno cancellate. Metri quadrati di pregevole lavoro spazzati via sotto il colpo di un’enorme gomma o coperti di bianco da un pennello. Le domande si moltiplicano. Perché Sol Lewitt si muove per venire nel cuore del Ghetto a realizzare questa serie fittissima di linee che si intrecciano, si perdono, si rincontrano, fanno cubi e suoi derivati, per poi desiderare che vengano disperse? Forse il primo indizio viene già dalla tecnica usata: la matita. Strumento del ripensamento per eccellenza e soprattutto strumento del progetto. Secondo la filosofia dell’arte di Sol Lewitt non c’è differenza tra un lavoro portato a termine su un muro ed il suo progetto su carta, perché quello che conta è il pensiero, il concetto. Quindi, se da una parte c’è sicuramente un intento decorativo, qui viene accostato alla dimostrazione pratica che, proprio perché quello che conta è il concetto, questo si svincola dal supporto che lo ospita. L’idea ha sede nella mente, la si racconta facendogli fare un’apparizione pubblica e chi la apprezza la porta con sé.
Sol LeWitt al Portico d’Ottavia
L’arte concettuale non è in questo senso così lontana forse dal principio dell’Action Painting, anche se non ne condivide né le tecniche né le espressioni. È sempre un atto creativo che prende forma, solo che nel caso dell’Action Painting il passaggio dalla potenza all’atto è un tutt’uno, mentre nell’Arte Concettuale rimane sotto forma di idea. La linea comune è il desiderio di esprimere il proprio progetto mentale, liberato da qualsiasi congettura e forma del mondo reale che potrebbe suggerire qualcosa di diverso, e farlo arrivare dritto agli occhi di chi guarda, specchio della mente.
Cinque sono le pareti disegnate, una a sé e le altre riunite nella medesima sala, come un cubo nel cubo. I muri disegnati sono i fogli di carta su cui è impresso il progetto e le pareti sono lo sviluppo del contenuto. “Il lavoro è la manifestazione di un’idea” dice l’artista, “è un’idea e non un oggetto”.

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valentina correr
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Valentina Bonomo Artecontemporanea, via del Portico d’Ottavia 13, Roma – tel. 06 6832766 – Ingresso libero, lun-sab 15,30-19,30 o per appuntamento – valentina.bonomo@fastwebnet.it www.galleriabonomo.com

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1 commento

  1. “L’arte concettuale non è in questo senso così lontana forse dal principio dell’Action Painting, anche se non ne condivide né le tecniche né le espressioni. È sempre un atto creativo che prende forma, solo che nel caso dell’Action Painting il passaggio dalla potenza all’atto è un tutt’uno, mentre nell’Arte Concettuale rimane sotto forma di idea.”
    Un concetto che poteva essere interessante espresso in una maniera pessima.
    Il passaggio non può essere un tutt’uno…cosa significa?Magari è immediato…oppure potenza e atto sono un tutt’uno.Piccoli suggerimenti…
    Invece nell’Arte concettuale rimane sotto forma di idea? Non mi pare, una forma c’è comunque!Cosa voleva dirci?

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